È stato, quello di ieri, il giorno più lungo e drammatico per i parenti delle vittime e per le centinaia di uomini impegnati – dopo una notte di inutili tentativi sotto le fotoelettriche – nella ricerca dei dispersi. Tutto stride – a cominciare dall’azzurro e da un sole beffardo seguito all’apocalisse di venerdì notte – con il senso di speranza e di ottimismo di chi ancora sperava nel miracolo di ritrovare in vita i dispersi di Casamicciola.
Quella che segue è la cronaca di una giornata spasmodica che disegna sul volto sudato dei vigili del fuoco, di carabinieri, poliziotti, uomini della Protezione Civile e volontari la fatica e il dolore segnati dal più infausto dei compiti: far tornare alla luce i corpi senza vita di altre sei persone. Sono sette in totale. Giovan Giuseppe aveva solo 21 giorni di vita. Era nato il quattro novembre scorso: una gioia immensa per papà Maurizio Scotto di Minico e per la madre, Giovanna Mazzella. Recuperati anche i loro corpi.
Maria Teresa Monti, sei anni, dormiva il sonno degli angeli insieme al fratello maggiore Francesco, undicenne, quando alle cinque del mattino dal Monte Epomeo si è staccata una faglia argillosa che ha spazzato le loro vite in una manciata di secondi. Inutili, fino a ieri, le ricerche dei genitori, Gianluca e Valentina.
Alle otto del mattino, quando già da un’ora e mezza si sono levati in volo tre elicotteri, mentre le motovedette pattugliano il tratto di mare tra Lacco Ameno e Casamicciola alla ricerca di eventuali corpi trascinati in mare dalla furia dell’onda di fango; e mentre entrano in azione anche le unità cinofile con i cani molecolari che fiutano presenze di resti umani, si scatena una ridda di voci incontrollate. Si parla di un’anziana ultranovantenne estratta ancora viva, c’è chi parla di due neonati che non ce l’hanno fatta. Un clima che alimenta la disperazione dei parenti di chi ancora manca all’appello. La tensione sale con le ore e impone alle forze dell’ordine di rafforzare il cordone di protezione intorno alla “zona rossa”. C’è anche, tra gli anziani del posto, chi lancia un allarme: «Lo vedete il lato sinistro del costone della montagna? Quel lato può venire giù alla prossima alluvione».
Mancano ancora all’appello cinque dispersi. Dopo un giorno e mezzo di sudore e fatica, i soccorritori riescono a scalare la zona in cui sorgevano alcune villette distrutte dalla “lava”, come qui tutti chiamano la straripante colata di fango, alberi sradicati e rocce. Il fiume di acqua e terra ha investito le casette costruite forse anche con troppa disinvoltura sul pianoro immerso nel verde dell’Epomeo, prima di scaricarsi a mare. Un’onda lunga quattro chilometri, che ha sfondato gli argini di via Celario e via Santa Barbara, oggi trasformate in un cimitero di melma, massi pesanti tonnellate, grovigli di lamiere che prima dell’alluvione erano auto parcheggiate sulla strada.