ESTORSIONI, IL CLAN MALLARDO ALLA SBARRA: CHIESTE 14 CONDANNE

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Clan Mallardo, arrivano le richieste di condanna. Avevano chiesto di essere processati tutti col rito abbreviato i 14 imputati nel processo sul racket del clan Mallardo a Giugliano, operante nell’hinterland giuglianese e sul litorale domizio, Durante l’udienza preliminare tenutatasi davanti alla 25esima Sez. GUP, Dottoressa Carla Bianco. Il Pubblico Ministero della direzione distrettuale antimafia ha chiesto le seguenti condanne: 9 anni di reclusione ciascuno per Barbato Davide, Di Nardo Domenico, MAione Carmine, Maisto Giulio, Mallardo Antonio, Russo Antonio e Vallefuoco Biagio; 12 anni di reclusione per Di Nardo Michele e Micillo Biagio; 10 anni e 6 mesi per Mele Giuseppe; 10 anni per Maraniello Gennaro, Chiariello Domenico.
L’indagine è quella che lo scorso novembre ha portato all’arresto di quattro indagati, ha messo in luce un articolato sistema di ruoli e responsabilità all’interno dell’organizzazione criminale, che si sarebbe occupata di estorsioni, gestione delle casse del clan, riscossione di debiti e intimidazioni ai danni di imprenditori locali.
La vicenda giudiziaria
Salvi grazie ad un cavillo giuridico, che non ha consentito l’applicazione dei loro confronti della misura cautelare. L’ultima indagine sul clan Mallardo ha visto finire dietro le sbarre 4 soggetti, tra cui il boss Biagio Micillo e altri 3 gregari: Domenico Chiariello, noto come “Mimmuccio”, 41 anni, nipote di Micillo, Giulio Maisto e Antonio Miraglia.
Per 4 soggetti, invece, non c’erano i gravi indizi di colpevolezza per l’applicazione della misura: Ciro Agalbato, Nicola Arena, Carmine Palumbo e Francesco Cesaro.
Gli altri 10 indagati, invece, sono stati salvati da un cavillo giuridico. Si tratta di BARBATO Davide, DI NARDO Domenico,DI NARDO Michele, MAIONE Carmine, MALLARDO Antonio, MARANIELLO Gennaro, MELE Giuseppe, PIROZZI Angelo, RUSSO Antonio e VALLEFUOCO Biagio.
Questi hanno usufruito della cosidetta ‘contestazione a catena’. Accade che il pubblico ministero chieda ed ottenga l’emissione di più ordinanze applicative della custodia cautelare nei confronti del medesimo imputato in relazione al medesimo fatto o a fatti comunque già noti dall’inizio all’autorità giudiziaria. Tale comportamento persegue lo scopo di spostare in avanti la durata della misura, al fine di aggirare i limiti stabiliti dalla legge.
Per evitare tale fenomeno, l’art. 297 co. 3 c.p. prevede una apposita disciplina volta ad arginare tale prassi illegittima: se nei confronti del medesimo imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, anche se diversamente circostanziato o qualificato, “ovvero per fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza” in relazione ai quali sussiste connessione qualificata ex art. 12 l. b) e c) limitatamente ai casi di reati commessi per eseguirne altri, i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati alla imputazione più grave.
Questo è il caso di quest’inchiesta sul clan Mallardo, dunque per questi 10 soggetti è stata rigettata la richiesta di applicazione di misura cautelare per avvenuta decorrenza dei termini massimi di fase.
Il processo è stato rinviato a Maggio per la discussione degli avvocati difensori Leopoldo Perone, Michele Giametta, Luigi Poziello, Celestino Gentile, Mauro Zollo, Pasquale Daniele Delle Femmine, Alessandro Caserta, Marcello Severino, Gian Paolo Schettino e Dario Vannetiello.
© Copyright 2025 redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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