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Cinque anni fa, prendendosi città come Roma e Torino, il Movimento 5 Stelle aveva posto le basi per l’exploit delle elezioni politiche del 2018. Al tempo si sentivano invincibili, certi di aprire tutte le istituzioni come una “scatoletta di tonno”. Poi hanno dovuto fare i conti con la realtà e il crollo di questi giorni.
“Siete riusciti a dissipare tutto in soli due anni”, tuonano i militanti sui social. “È il più grande fallimento della politica italiana degli ultimi anni”, fa eco un altro. Nei prossimi giorni tutti i nodi verranno al pettine. Si capirà meglio cosa ne sarà della rottura che mesi fa si è consumata tra Casaleggio junior e Conte. Nel movimento si guarda ad Alessandro Di Battista che da tempo si è detto stufo della svolta governista imbracciata dall’avvocato del popolo. Tutto è possibile, anche una scissione. Nel frattempo non resta che concentrarsi sui numeri di oggi. E i numeri parlano chiaro: nei Comuni in cui i Cinque Stelle hanno governato, gli elettori non hanno perdonato il malgoverno e li hanno silurati. La Raggi è arrivata terza. A Torino, dove la Appendino ha deciso di fare un passo indietro e non confrontarsi col voto, la candidata Valentina Sganga si è fumata (in termini percentuali) i due terzi dei voti presi cinque anni fa. Non va certo meglio nelle altre città. A Milano, come fa notare, il professor Paolo Becchi, ex ideologo del M5S, il partito di maggioranza relativa in parlamento sfiora il 4%.
E Bologna e Napoli? Per trovare il simbolo dei Cinque Stelle bisogna andare col lanternino a cercarlo tra le liste a sostegno dei candidati della sinistra. Proprio nella città di Luigi Di Maio e Roberto Fico, dove nel 2018 avevano superato il 50%, i grillini si liquefanno sotto la soglia del 10%. Nonostante il reddito di cittadinanza che tanto aiuto può dare in termini elettorali. Ma alcuni esponenti locali, Valeria Ciarambino in primis, esultano per Manfredi. Ma cosa c’è da esultare?
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