Che cos’è la Nutella? Una crema di nocciole? Un vasetto di vetro? Un brand? Tutte e tre le cose. E anche qualcosa di diverso e di più: un mito. Perciò c’è anche per lei il giorno di festa, il World Nutella Day: 5 febbraio. Lei che con la sua presenza è servita a creare la festa quotidiana di milioni di persone nel mondo. Niente di più quotidiano della Nutella – ma come, è già finita? – e niente più di eccezionale di lei – vedi il barattolo da cinque chili antidoto contro la nevrosi di Nanni Moretti. La Nutella è intergenerazionale – il “che vogliamo stare tutta la vita a rimpiangere la Nutella” di Leonardo Pieraccioni – e interclassista – non distingue tra classi alte, basse e medie: la Nutella è la Nutella.
Nata nel 1946 come “Supercrema”, diventa un brand quando Michele Ferrero nel 1964 le cambia il nome, sistema la formula e la propone in tazze e bicchieri. Chi non ha nella credenza almeno un bicchierino delle sue innumerevoli serie? La Nutella appartiene a quella che Chiara Alessi ha definito il “design senza designer”, che è poi il segreto della sua fortuna. Il design concepito prescindendo dai singoli designer, i nomi noti che hanno fatto grande il Made in Italy. E al di là del suo contenuto, è prima di tutto un prodotto di designer, una straordinaria invenzione del marketing.
Ad Alba e dintorni esistevano, ed esistono, vari di produttori di crema di nocciole, alcune anche ottime, ma nessuno ha avuto l’estro di trasformarla in marchio, di darle un nome facile: Nut, che sta per nocciola; e ella, una desinenza dal suono grazioso, femminile, accattivante. Il secondo strumento del suo successo è senza dubbio la pubblicità, che l’azienda di Alba ha sviluppato con grande intelligenza: il nazionalpopolare, quando questo non esisteva ancora, se non come elemento semi-kitsch. La Nutella ha nobilitato se stessa attraverso Jo Condor, negli anni Settanta, poi coltivando le rassicurazioni del claim “Mamma tu lo sai”, fino alla crema da spalmare con i bambini in scena.