Procura di Roma contro la sentenza «mondo di mezzo»: «È mafia»

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Se il tribunale di Roma non ha riconosciuto il reato di associazione mafiosa per il “mondo di mezzo” capeggiato da Massimo Carminati e Salvatore Buzzi (comunque condannati a pene pesanti: 20 e 19 anni di carcere) è perché ha fatto una lettura distorta di quanto emerso durante il processo. Una «visione atomistica dei singoli fatti ricostruiti, omettendo di rilevare anche i più ovvi collegamenti e cercando di decostruire quelli evidenti». Ma soprattutto, i giudici di primo grado hanno dimostrato di essere vittime, facendoli propri, dei «più diffusi stereotipi in materia di mafia, secondo i quali la mafia è solo quella con la coppola e la lupara, quella che spara e uccide ovvero è quella che parla calabrese o siciliano». Una sorta di pregiudizio, che non tiene conto «della evoluzione della giurisprudenza in materia, che invece è da tempo attenta ad individuare le trasformazioni socio-criminali delle mafie, sia quelle tradizionali che quelle nuove, capaci di insediarsi in territori diversi da quelli tradizionali con metodi nuovi e diversi, ma con le identiche finalità di acquisizione di potere economico, mediante l’assoggettamento e l’omertà». Infine i giudici di primo grado hanno spesso travisato le argomentazioni dei pubblici ministeri, utilizzando «la tecnica argomentativa di attribuire alla pubblica accusa una tesi diversa da quella sostenuta, per poi confrontarsi solo con quella e non con quanto effettivamente sostenuto».

© Copyright redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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