Il «paco», la peggiore delle droghe distrugge i ragazzi in America Latina

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Non c’è droga peggiore. Cherosene, polvere di vetro, veleno per topi, mescolati al residuo duro della cocaina. Scarto degli scarti, si fuma e brucia in un attimo. Il fotografo italiano Valerio Bispuri l’ha vista cucinare, racconta, in un giorno di derby allo stadio perché i capi narcos fossero distratti, nel sottoscala di una baraccopoli argentina. Non sa esattamente dove, c’è arrivato bendato, è rimasto fino al tramonto a osservare «cuochi» mascherati, la gola che bruciava: «Quegli scatti soffocati dal fumo e dalla paura sono stati la fine del mio lavoro sul paco. Proprio dove il paco inizia».

Pasta a base di cocaina, fino a quindici anni fa si buttava, con la crisi economica a Buenos Aires è diventata il principio attivo di uno stupefacente a bassissimo costo e altissima violenza che sta consumando una generazione latinoamericana. Una merce scientificamente studiata per arrivare al cervello di chi non può permettersi la polvere raffinata. Nelle villas miseriasargentine, poi nelle favelas brasiliane, quindi in Paraguay, in Perù, fino alla costa caraibica della Colombia. Tra i più poveri e rassegnati, ma ora anche tra i giovani della classe media. Una scossa, «pochi secondi in cui si dimentica tutto e si inizia a morire». Dopo la prima dose da 50 pesos (circa due euro) è necessaria immediatamente un’altra, e di nuovo un’altra, e ancora. «Ragazzini tra i dieci e i ventidue anni si muovono come lupi tra i vicoli, la pelle consumata, lo sguardo fisso nel buio». Bispuri li ha seguiti: 14 anni di lavoro attraverso il Continente che confluiscono adesso nel libro Paco. A drug story (Contrasto). La scelta di un impegno così lungo corrisponde a una poetica precisa: «Credo che la fotografia abbia bisogno sempre di più del tempo per arrivare a quell’equilibrio magico tra emozione e realtà».

© Copyright redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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