Patto di stabilità, c’è l’accordo in sede europea. Meloni: “Migliorativo per l’Italia”

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C’è l’agognata svolta sul Patto di Stabilità. Contro i pronostici dei giorni scorsi, i 27 ministri delle Finanze sono riusciti a trovare un accordo sulle nuove regole di governance economica. L’obiettivo era raggiungere l’intesa entro la fine dell’anno per poter avere il Patto in vigore in primavera. La presidenza spagnola ha profuso ogni sforzo per arrivare all’ok, con innumerevoli incontri e lunghe trattative, ma è stata soprattutto la spinta dell’asse franco-tedesco in costante contatto con il Mef italiano, a rimuovere gli ostacoli sul percorso. L’altra sera l’ultimo incontro tra i ministri Bruno Le Maire e Christian Lindner, poi le trattative tra le capitali fino all’accordo raggiunto all’Ecofin straordinario in videoconferenza. Un accordo che il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, considera «un compromesso di buonsenso» e «per l’Italia migliorativo rispetto alle condizioni del passato», si legge in una nota di Palazzo Chigi, dove però si esprime «rammarico per la mancata automatica esclusione delle spese in investimenti strategici dall’equilibrio di deficit e debito da rispettare. Una battaglia che l’Italia intende comunque continuare a portare avanti in futuro». Nell’intesa sul patto di stabilità «ci sono alcune cose positive e altre meno – ha commentato il ministro dell’economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti -. L’Italia ha ottenuto però molto e soprattutto quello che sottoscriviamo è un accordo sostenibile per il nostro Paese volto da una parte a una realistica e graduale riduzione del debito mentre dall’altra guarda agli investimenti specialmente del Pnrr con spirito costruttivo».

Per l’Italia è positivo «il recepimento delle nostre iniziali richieste di estensione automatica del piano connessa agli investimenti del Pnrr, l’aver considerato un fattore rilevante la difesa, lo scomputo della spesa per interessi dal deficit strutturale fino al 2027». Gli Stati che sforeranno il tetto del deficit del 3% dovranno aggiustare i conti dello 0,5% l’anno, ma verranno considerati nel computo gli interessi per le spese per gli investimenti nei settori strategici dell’Ue. Ci sono poi soglie di riferimento per tutti i paesi al fine di garantire un’effettiva riduzione media annua del rapporto debito, di 1 punto percentuale per i paesi con debito superiore al 90% e dello 0,5% per quelli tra il 60% e il 90%. Un margine di salvaguardia del disavanzo strutturale pari all’1,5% del Pil inferiore al 3% ma solo nel braccio preventivo, non in quello correttivo. Una misura volta a creare uno spazio dell’1,5 per cento così da essere pronti in caso di shock, senza dover mettere sotto pressione i conti. Per questi paesi si prevede anche una velocità di aggiustamento del deficit primario strutturale pari allo 0,4% del Pil all’anno, che potrà ridursi allo 0,25% in caso di estensione dei piani da 4 a 7 anni. Le norme introducono un regime transitorio fino al 2027 che attutisce l’impatto dell’aumento del peso degli interessi, tutelando la capacità di investimento, soprattutto nei settori strategici dell’Ue, come la difesa, il sociale e la transizione verde e digitale. In sostanza, all’Italia quando sarà nel braccio correttivo della procedura per eccesso di deficit verrà richiesto uno sforzo di riduzione dello 0,5 ma la Commissione quando deciderà quanto sforzo dovrà fare l’Italia guarderà all’aumento nel peso dei tassi di interesse per tutto il periodo. «L’accordo è una buona notizia per l’economia europea al termine di un anno molto impegnativo», commenta il commissario Ue all’Economia, Paolo Gentiloni. «Anche se i negoziati hanno aggiunto una certa complessità ai testi rispetto alla nostra proposta, ne preservano gli elementi fondamentali: uno spostamento verso una pianificazione fiscale più a medio termine; una maggiore titolarità da parte degli Stati membri dei piani fiscali, all’interno di un quadro comune; e la possibilità di perseguire un aggiustamento fiscale più graduale per riflettere gli impegni verso investimenti e riforme», aggiunge Gentiloni. Domani il testo sarà sul tavolo degli ambasciatori Ue per concordare un mandato negoziale. Poi si attende la posizione del Parlamento europeo per avviare il negoziato interistituzionale, probabilmente già a gennaio. L’obiettivo è arrivare all’entrata in vigore di questa riforma nella primavera del 2024, prima delle Europee di giugno.

© Copyright redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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