Lo scenario è plausibile? La risposta è sì, perché il futuro va prima immaginato e le vicissitudini mediche del signor Rossi sono al centro della tecnologia medica-medicale che si prefigge tre scopi: diagnosi precise e precoci, cure più rapide e mirate, decorsi e degenze più snelle e veloci. Tutto ciò si traduce con il vivere meglio e più a lungo con ricadute positive sugli errori medici e sui costi della sanità.
Si può obiettare – non del tutto a torto – che una migliore prevenzione può evitare ospedalizzazioni e questo è insindacabile: tuttavia, notare la formazione di un tumore al suo insorgere non esclude cicli di chemioterapia, ne riduce casomai il numero e l’intensità. Allo stesso modo, un problema cardiaco diagnosticato prima che si presenti con tutta la sua violenza non esclude un intervento chirurgico, ne esige casomai uno meno urgente e dal decorso post-operatorio più breve.
A che punto siamo?
Occorre scindere la questione in due aspetti: il primo prettamente tecnologico, l’altro organizzativo e procedurale.
Di interventi a distanza se ne fanno già da 15 anni e anche su pazienti ospedalizzati in Italia. Nel 2006 il dottor Carlo Pappone ha operato da Boston al San Raffaele di Milano. Un intervento non molto complesso utile a dimostrare sul campo che la precisione dell’intervento è stata tale da ridurre i rischi post-operatori.
A Milano sono in corso decine di esperimenti di telemedicina, resi possibili dalla connettività 5G che è necessaria sia per la velocità di trasmissione sia per la bassa latenza. Se un chirurgo muove un braccio robotico a mille chilometri di distanza occorre che questo imiti i movimenti in tempo reale, se ci fosse uno scarto di tempo troppo elevato i movimenti del medico e del robot non sarebbero coordinati.