E adesso cosa accadrà? Adesso, avverte chi nelle segreterie dei partiti ha tenuto i contatti col premier, inizia il governo Draghi, quello vero. Che non è l’esecutivo visto sinora, gestito con abbondante ricorso ai compromessi dall’ex presidente della Bce che sperava di succedere a Mattarella e si era obbligato a trovare un modus vivendi con i politici. Ma quello guidato da un tecnico che ha appena ricevuto dai partiti il grande rifiuto della sua vita e quindi non ha più nulla da chiedere ai loro segretari; semmai, ha qualcosa da dimostrare alle cancellerie europee e alle istituzioni internazionali, visto che ora ambisce a diventare presidente del Consiglio europeo o della Commissione Ue, due incarichi che saranno disponibili nel 2024.
IL PNRR (E NON SOLO)
Cosa significhi questa nuova fase, lo ha spiegato Draghi stesso ai suoi interlocutori politici, mentre trattava con loro sui possibili (e non realizzati) “sviluppi istituzionali”. Chi lo ha ascoltato, la riassume così: «Una riforma a settimana, senza guardare in faccia a nessuno». Regole scritte con i parametri del tecnico puro e non più di quello “prestato alla politica”. Se non è il prezzo da pagare per non averlo eletto presidente della repubblica, gli assomiglia molto. Non c’è bisogno di inventarsi nulla di nuovo, sono interventi dei quali si discute da tempo, molti dei quali previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza concordato con Bruxelles. Sinora, però, c’è stato un margine di “interpretazione” che ha consentito a Draghi una coabitazione tutto sommato pacifica con i partiti: dovendo scegliere tra la coerenza e la convivenza, il premier spesso ha sacrificato la prima sull’altare della seconda. Non sarà più così. Sulle concessioni demaniali marittime, ad esempio.
Se qualche partito non lo seguirà e minaccerà di levargli la fiducia, il presidente del consiglio non se ne farà un cruccio: il casolare di Città della Pieve, a un’ora e tre quarti da Roma, è lì che lo attende. Spetterà a chi avrà provocato la crisi spiegare perché gli interessi sui titoli di Stato italiani sono decollati in una notte, o perché qualche tranche di soldi del Pnrr (tutte legate al raggiungimento di determinati obiettivi, anche intermedi) è stata bloccata, in attesa di chiarimenti. Anche così, con l’avvio di questa “Fase 2” nel momento peggiore per i partiti, a un anno dalle elezioni politiche, si spiegano le voci di «rimpasto» che sono girate ieri e i segnali inviati da Giancarlo Giorgetti: stretto tra Draghi e Matteo Salvini e sapendo ciò che attende il governo, il ministro dello Sviluppo ha già fatto capire di essere pronto a lasciare l’incarico.
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