Camorra, Maria Licciardi e la villa sul lago di Garda. Il gip conferma l’arresto

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Con l’arresto di Maria Licciardi, avvenuto un paio di settimane fa all’aeroporto di Ciampino, la settantenne considerata dall’accusa la capo dell’omonimo clan inserita nell’alleanza di Secondigliano, si riapre un’inquietante pagina sulle infiltrazioni delle organizzazioni criminali nel nord Italia. Nel decreto di fermo della «Piccerella», il soprannome della Licciardi assegnatole per il suo aspetto minuto, firmato dai sostituti procuratori della repubblica di Napoli Giuseppina Loreta, Celestina Carrano e Antonella Serio e dal procuratore capo Giovanni Melillo, si cita un episodio legato proprio a Peschiera del Garda. Si tratta dei 450.000 euro ottenuti dalla vendita della villa in via Pastore, contesa tra la nipote della Licciardi e la sua compagna, figlia di un esponente di un altro clan dell’alleanza di Secondigliano. La giovane Licciardi è la figlia di Pietro, fratello di Maria, a tutt’oggi detenuto e di Patrizia C. (non indagata), 63 anni, residente a Napoli. D’altra parte, i legami tra il clan Licciardi e il Garda non sono certo una novità. Se ne è ripreso a parlare già dal 2006 quando uscii il libro «Gomorra» di Roberto Saviano che l’aveva messo ben in chiaro: c’era una vera e propria struttura logistica per le necessità del clan Licciardi, tra Peschiera e Castelnuovo.

Un importante riferimento nel nord Italia per i componenti dell’alleanza di Secondigliano insieme al clan dei Contini e dei Mallardo. L’attività principale dei componenti del clan di camorra che si trovavano nel Veronese fin dagli anni ’80 era quello della vendita di capi d’abbigliamento, soprattutto in pelle. E tra questi c’era anche un componente di una famiglia molto vicina ai Licciardi che fu condannato a sette anni per esercizio abusivo dell’attività creditizia oltre che per una vicenda di usura non legata, però, alla camorra. L’episodio veronese citato nel decreto di fermo a carico della Licciardi, peraltro, non costituisce un’accusa rivolta alla settantenne in questo procedimento ma rappresenta un’altra prova della sua leadership nel clan di camorra. A dirimere la disputa sulla villa di Peschiera del valore di 450.000 euro, il 24 aprile scorso a Napoli, riporta il decreto di fermo, fu la stessa Maria Licciardi che si recò nella casa della giovane amica della nipote. E lo fece a modo suo come emerge dalle numerose intercettazioni raccolte dai carabinieri del Ros: prima l’aveva minacciata. Poi aveva preteso entro due mesi la restituzione dei soldi che «aveva sottratto a Patrizia Cardo, imponendole dopo aver restituito il danaro, di andare via da Napoli, specificando che se non l’avesse fatto, avrebbe fatto del male ai suoi nipoti». Poi, però, dalle parole Maria Licciardi era passata ai fatti. «Nell’intercettazione», riporta ancora il decreto di fermo, «l’indagata precisava di aver aggredito fisicamente la giovane, accoltellandola alla gamba e al braccio». La vittima, rimasta lievemente ferita, non aveva denunciato il fatto per non avere conseguenze peggiori. La settantenne, però, non era apparsa molto soddisfatta della sua «impresa»: «Si era rammaricata per non averla colpita al volto». La visita della Licciardi, però, aveva dato l’effetto sperato: «Valentina B., evidentemente intimorita, aveva acconsentito alle richieste della Licciardi, assicurandole che in due mesi avrebbe restituito il danaro e se ne sarebbe andata da Napoli». Si tratta di un episodio grave per gli investigatori napoletani: «La vicenda, pur rientrando in una dinamica famigliare, assume una connotazione prettamente camorristica», sostengono i pm napoletani.

Fonte ‘A Territori

© Copyright redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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