Covid, a Napoli scatta l’allarme delle liste d’attesa. Fila in sala operatoria

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Dal 12 marzo al 4 maggio dello scorso anno, durante il primo lockdown, quando le attività ospedaliere erano sospese e gli ambulatori chiusi, si è registrato in Campania un calo del 25 per cento dei ricoveri ospedalieri (di cui il 43 per cento medici e il 57 per cento chirurgici) nelle strutture pubbliche, private accreditate e gli ospedali classificati. La frana assistenziale si è estesa, per le difficoltà di accesso alle cure, fino al terzo trimestre dello scorso anno, investendo in pieno le visite ambulatoriali, scese del 49 per cento, travolgendo gli screening per i principali tumori rimasti al palo e già in partenza molto bassi. Un’ulteriore scure sulle attività sanitarie ambulatoriali e di ricovero è poi calata per circa un mese, tra ottobre e novembre, con il secondo picco epidemico, le cui conseguenze non sono state ancora misurate. Uno scenario che ha ingrossato a dismisura le liste di attesa, ma ha anche fatto inabissare molte attività che, a fronte di bisogni di salute certi della popolazione, allo stato non sono ancora richieste per la paura del contagio.

La Regione, con il graduale ripristino delle attività, subordinato al rispetto delle misure per la prevenzione del rischio infettivologico e al netto di reparti, corsie e presidi ospedalieri ancora convertiti in unità Covid, punta al recupero delle liste di attesa con un piano ad hoc. Ci sono più di 34 milioni di euro attinti dai fondi nazionali per il contrasto alle code in corsia. Risorse da assegnare alle aziende sanitarie in proporzione alle prestazioni mediche e chirurgiche perse. Per le attività di day hospital, si terrà conto dell’incidenza degli accessi. Per le ambulatoriali, del numero di quelle non erogate da gennaio a settembre 2020. A fare fede sono i flussi informativi registrati con la tessere sanitaria elettroniche.

Il punto di partenza del piano consiste nell’aggiornamento delle agende di prenotazione dei Cup. Già da alcune settimane i centri stanno richiamando i pazienti, dando priorità alle prestazioni sospese e a quelle più urgenti, anche spalmando le visite in altre strutture anche al fine di ridurre assembramenti nelle sale di attesa. Fari puntati sui teleconsulti per le patologie croniche e i follow up. Apertura degli ambulatori sette giorni su sette e aumento del numero delle sedute di sala operatoria anche agli orari pomeridiani completano il quadro delle strade percorribili da parte dei manager e dei dirigenti sanitari.
L’indicazione è quella di concentrare le risorse sulle situazioni di maggiore difficoltà, assicurare le misure di prevenzione del contagio attraverso il distanziamento sociale. Periodicamente ogni azienda sanitaria dovrà stilare l’elenco delle prestazioni rimaste inevase e identificare le code più consistenti. L’obiettivo: riportare le liste d’attesa ai livelli “pre-Covid”. Le risorse dovranno essere impiegate per reclutare personale a tempo determinato, l’acquisto di prestazioni intramoenia all’interno dell’azienda, aumentare le ore della specialistica ambulatoriale convenzionata nei distretti. E rafforzare gli screening. Quello del colon retto è passato dal 5,59 all’1,56 per cento della popolazione, quello della cervice uterina dal 12,72 al 5,71, le mammografie dal 12,13 al 7,16. La riduzione totale per i ricoveri è stata invece pari al 25 per cento di cui il 43 di tipo medico e il 57 di tipo chirurgico, considerando solo i dati fini al terzo trimestre dello scorso anno. I cali più consistenti delle attività sono stati registrati nel Asl Napoli 1 centro e dalla Asl Napoli 3 sud, per le attività ospedaliere ai “Colli” (dove insiste il maggior numero di posti Covid) e alla Federico II. Solo il Pascale ha mantenuto pressoché inalterata le attività oncologiche.

© Copyright redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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