Carissimo dottore, con il pericolo del coronavirus che su tutti noi incombe, ci si accorge quanto sia importante nelle emergenze avere un carattere forte e stabile, essere dotati di una serenità interiore capace di infondere fiducia a se stessi e agli altri. Pur essendo apparentemente razionale e calma, l’ansia abita in me. Ora che si paventa una pandemia, sono letteralmente angosciata, triste e senza alcuna capacità di sollevarmi da uno stato di permanente allarme. Più che per me stessa temo per i figli, per i nipoti, controllo che tutti intorno a me seguano prudenti norme di igiene, in modo ossessivo; la sanità pubblica in Italia, nonostante gli aspetti deficitari, sta dando prova di professionalità e competenza, ma io continuo a prospettare scenari tragici, a piangere la morte ora di uno ora di un altro parente, a vivere in uno stato di ansia inimmaginabile. Mi aiuti, la prego.
I virus che abitano nelle nostre coscienze: l’egoismo e l’ indifferenza sociale ai tempi del coronavirus
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Teresa di Napoli
Gentile signora, la sua preoccupazione, condivisa certo da tanti in questo periodo, mi fa venire alla mente un quadro del pittore olandese Bruegel, La parabola dei ciechi, oggi conservato nel Museo di Capodimonte. In esso sono raffigurati degli uomini che, avendo limitazioni sensoriali, camminano in fila e tenendosi l’un l’altro con dei bastoni; il capofila, riverso a terra, è caduto, e non può far altro che trascinare con sé gli altri. E’ importante, in questo momento di angoscia e di confusione, la tenuta psicologica di tutti noi. Qualcuno tende a definire psicosi le manifestazioni di paura generate dalla diffusione di questa nuova malattia, confondendo stati d’animo comprensibili con una patologia psichiatrica di una certa gravità. Non si può negare tuttavia che l’ansia diffusa stia generando inquietudine, senso di precarietà e incertezza, lasciando affiorare tutta le nostre fragilità, che emergono quando non siamo più in grado di entrare in contatto con noi stessi. Questo lo sperimentiamo soprattutto quando i pensieri sono legati alla morte. La persona isolata, in quarantena, ci riporta al luogo di manzoniana memoria: il lazzaretto, il luogo infimo in cui i malati di peste attendevano la morte. Chi di noi non ha associato il nuovo virus a questa immagine? L’ansia dinanzi al pericolo del contagio ci spinge al ripiegamento su noi stessi, all’ avidità di notizie, alla condivisione di una continua ricerca dei possibili untori, che come sempre sono “diversi” e altri da noi: alcuni di essi “segnati” da abitudini culturali e alimentari repellenti, altri comunque lontani, confinati al Nord del nostro paese, tutti comunque indesiderati e pericolosi. La massa apparentemente unita ha cominciato a sgretolarsi dinanzi al pericolo, perdendo l’ identità che si ravvisa di fronte al fine unico, cominciando a vivere nel sospetto dell’altro: l’ansia e il panico diventano il sintomo di un’intera popolazione. Cosa possiamo fare? Al di là di ogni inutile negazione della gravità del momento, che alcuni ostentano, dobbiamo dare prova di maturità sociale e di civiltà, dobbiamo reagire in maniera razionale e rispettosa delle indicazioni della scienza medica. Oltre al coronavirus siamo chiamati oggi a fronteggiare altri virus che abitano dentro di noi, nelle nostre abitudini e nelle nostre convinzioni: i virus della indifferenza sociale, della disumanità e dell’egoismo. Auguri a tutti quanti noi!
Dott.Raffaele Virgilio, psicologo e psicoterapeuta
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