L’omicidio del tatuatore di Casavatore, in aula il racconto della compagna

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Era una coppia felice quella composta da Anna Vezzi e il tatuatore Gianluca Cimminiello, ucciso la sera del 2 febbraio 2010. Ragazzi dediti all’arte dei tatuaggi e pieni di speranze per il futuro. Una giovane vita spezzata per motivi di gelosia professionale e per un litigio in cui fu coinvolto un parente del boss scissionista Cesare Pagano. Al centro della vicenda c’è Vincenzo Dannicuo, detto il «cubano», tatuatore di Melito indagato per la prima spedizione punitiva (non mortale) nei confronti di Cimminiello. Il ragazzo doveva esser punito per aver pubblicato una foto – fatta fuori allo stadio San Paolo – con il Pocho Lavezzi, ma poi ritoccata per cui sembrava che il calciatore fosse davvero stato nel laboratorio di Cimminiello ubicato a Casavatore.

La sorte ci mise però lo zampino: in quattro si recarono a Casavatore con l’intento di picchiare Cimminiello, ma il giovane tatuatore rispose per le rime ferendo il cognato (Vincenzo Noviello) di Cesare Pagano, alias «Cesarino» e ferendolo allo zigomo.

Due giorni dopo quel ferimento avvenne il raid che costò la vita a Cimminiello. Ma andiamo con ordine e ritorniamo al processo. Il coraggio di testimoniare contro chi le ha portato via per sempre il suo amato compagno non l’ha perduto. Oggi in Corte d’Assise, nella quinta sezione penale del Tribunale di Napoli, Anna Vezzi, testimone dell’agguato, ha risposto alle domande del pubblico ministero Gloria Sanseverino del pool anticamorra coordinato dall’aggiunto Filippo Beatrice. Presente (come parte civile) l’assessore al Comune di Napoli Alessandra Clemente. La sua presenza non ha solo il valore simbolico di una lotta civile ma è soprattutto l’agire concreto verso il “sistema”. Insomma la dimostrazione di solidarietà alla giovane donna che dal 2011 si è resa disponibile ad aiutare gli inquirenti contro i mandanti e gli esecutori materiali.

Da una località segreta, in video conferenza, Vezzi ha ricostruito gli ultimi dieci giorni fino all’omicidio. Nella gabbia, invece, con aria spavalda l’imputato Raffaele Aprea, appartenente al gruppo omonimo ed affiliato agli Scissionisti. Dunque, con un tono di voce sommesso e chiaro, e non senza sofferenza, ha descritto gli ultimi istanti di vita. Quello che accadde il lunedì sera. Quando una persona con la scusa di volersi fare un tatuaggio (a forma di carpa, ndr) condusse fuori Cimminiello per mostrargli un esempio che era esposto nella vetrina esteriore del laboratorio; invece lì c’era il suo assassino. Momenti di drammatici che la ragazza ha ripercorso: «Ero nella stanza dove si eseguivano i tatuaggi quando sentì i due, tre colpi di pistola. E poi vidi rientrare Luca che si manteneva il braccio destro che era insanguinato. Lo chiamavo, urlavo ed ero presa dal panico.  Ma lui non riusciva a parlare. Respirava a fatica. Dopo un po’ si accasciò per terra e perse coscienza». Le misure cautelari furono notificate nei confronti di Arcangelo Abete e Raffaele Aprea, promotori e responsabili dell’agguato mortale. Il primo sarebbe stato il mandante mentre il secondo, per gli investigatori, fu l’organizzatore e l’esecutore del delitto.

 

 

© Copyright Mario Conforto, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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