Gomorra dalla A alla Z, i guappi del secondo dopoguerra: Alfredo Maisto, Pasquale Simonetti e Antonio Spavone

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Alfredo Maisto nasce a Giugliano nel 1918, città in cui la sua famiglia possiede un mulino e alcuni terreni. Alfredo entra nel mercato degli ortaggi di corso Novara, l’università dei boss della campagna napoletana. Nel 1952 sostiene due scontri a fuoco per difendere il proprio territorio da Pasquale Simonetti, detto Pascalone ‘e Nola, e da Raffaele Baiano, detto Papele ‘e Pacc Pacc di Marano.
Negli anni Cinquanta afferma il proprio controllo su tutta la zona a nord di Napoli, a capo di una banda con i fratelli e con i cugini Sciorio controlla un vasto traffico di sigarette e di benzina. Nel corso degli anni Sessanta entra in contatto con la mafia siciliana tramite la famiglia Bontade. Nel 1967 Mimì ‘e Carlantonio (Domenico Mallardo), un rivale di Giugliano, viene ucciso a colpi di lupara sulla porta di casa. Don Alfredo, accusato di essere il mandante, si rende latitante (gli esecutori sarebbero il figlio Luigi, Pasquale Distratto e Corrado Iacolare). 
Nel 1971 Alfredo Maisto viene arrestato a Roma e sottoposto a processo per l’omicidio di Mimì Mallardo, trascorre qualche periodo in prigione ma alla fine viene assolto, mantiene il controllo del clan e le relazioni mafiose durante la guerra vinta contro i marsigliesi.
Il padrino di Giugliano muore in clinica a soli 58 anni per una trombosi. Dopo la sua morte il potere della famiglia si sgretola in pochi anni, così nell’area giuglianese diventano egemoni prima i Nuvoletta e i Bardellino,  poi i figli di Mimì Mallardo.
Pasquale Simonetti, detto “Pascalone ‘e Nola” entrò prima nel giro del contrabbando di sigarette, poi passò al controllo del mercato ortofrutticolo napoletano, che gestiva di fatto assieme ad Antonio Esposito, ovvero Totonno ‘e
Pomigliano.  Il controllo sui traffici era tale che era la camorra, in cambio della protezione, a gestire l’intero ciclo produttivo, dai raccolti ai prezzi, fino allo smistamento. Simonetti era ritenuto un “guappo” e alcuni suoi concittadini si rivolgevano a lui per chiedere giustizia. Tra gli episodi più significativi si ricorda quello di un uomo scappato dopo aver ingravidato la fidanzata. Simonetti gli se, dovendo spendere 10 mila lire in fiori, preferiva che fossero spesi per il suo matrimonio o per il suo funerale.
 Un altro episodio riguardante la vita di Simonetti è lo schiaffo che il camorrista avrebbe dato al gangster italo-americano Lucky Luciano. Il 27 aprile 1955 sposò Assunta Maresca, detta Pupetta, ma dopo pochi mesi fu assassinato da Gaetano Orlando, detto “Tanino ‘e bastimento, cugino dei Nuvoletta di Marano. 
cugino dei nuvoletta di marano, inviato da Antonio Esposito. Sposato con Maresca Assunta, dal loro matrimonio e’ nato Pasquale (alias Pasqualotto) nel 1955, scomparso e mai ritrovato dal 1975. Commerciante di frutta, per la sua imponente “mole” fisica fu soprannominato Pascalone e’ Nola. La camorra di quel periodo era molto diversa da quella attuale:  viveva di mediazioni e interventi nei mercati ortofrutticoli sulla produzione contadina della provincia tra Nola, Pomigliano, Giugliano, Scafati, Pagani, Marano. Allora gli «uomini di rispetto» si chiamavano Simonetti, Antonio Esposito, Alfredo Maisto, Francesco Antonio Tuccillo. Erano gli anni ’50. E Pasquale Simonetti riusciva a guadagnare 100 lire su ogni quintale di patate venduto al mercato di Nola. Era uno dei «presidenti dei prezzi». Se ogni giorno al mercato si commerciavano circa 40mila quintali di patate, è facile fare
il conto sui suoi guadagni.
Simonetti si faceva rispettare e già nel 1952 si era scontrato con i Maisto. I due gruppi si affrontarono a colpi di pistola nelle strade di Melito. Ma i contrasti maggiori «Pascalone ’e Nola» li aveva con Antonio Esposito, detto «Tatonno ’e Pomigliano», produttore di frutta secca e in buoni rapporti con i politici, tanto che al suo funerale si disse che ben dodici deputati inviarono corone di fiori. Tra Esposito e Simonetti la tensione era sempre alta e i dissidi sui guadagni delle mediazioni vennero più volte sedati dall’intervento di Tuccillo. C’erano oltre 500 invitati al matrimonio di Pupetta Maresca con Pasquale Simonetti. Lei era già incinta di tre mesi, da poco diciottenne ed erede della famiglia malavitosa dei «Lampetielli» di Castellammare. Un matrimonio in grande stile. Ottanta giorni dopo, la tragedia. La mattina del 16 luglio 1955, «Pascalone ’e Nola» era in corso Novara, nei pressi del mercato ortofrutticolo, quando incrociò Gaetano Orlando, detto «Tanino ’e bastimento», figlio di un ex sindaco di Marano e considerato amico di Antonio Esposito. Nella «camorra rurale», una precedenza, un saluto in pubblico erano sintomo di rispetto, di considerazione, di supremazia. I due sguardi si incrociarono e Simonetti alzò la voce: Orlando non lo aveva salutato, un affronto duro da digerire per un «presidente dei prezzi». La risposta fu sprezzante: «E tu saresti Pascalone ’e Nola?». Il resto lo fecero le pistole. Orlando sparò, colpendo Simonetti all’addome. Al processo, «Tanino ’e bastimento», morto per cause naturali qualche anno fa, dichiarò di aver sparato per legittima difesa e che anche Simonetti era armato. Verità poi riconosciuta dopo un lunghissimo iter giudiziario.
Antonio Spavone, detto ‘o Malommo, nato a Napoli i 15 maggio 1926, è stato da molti considerato l’ultimo guappo. In realtà la sua figura si colloca a metà strada tra il guappo di matrice ottocentesca e il camorrista imprenditore. Era nipote di Ciro ‘o Piscatore ed era lui che decideva se c’erano controversie tra i suoi concittadini. Spavone si occupa prevalentemente di contrabbando, spesso con il benestare degli americani. I vestiti, le sigarette e tutto quanto potesse diventare merce da vendere e trafficare alla borsa nera, in una città allo strenuo delle proprie forze.
 Gli affari di Carmine Spavone vanno, pero’ a cozzare con gli interessi di un altro malavitoso, tale Giovanni Mormone detto ‘o Mpicciuso ( l’impiccioso ). Oramai a Napoli era ben nota la rivalità tra le due famiglie, finchè un giorno, in un bar della stazione ‘o ‘mpicciuso apostrofo’ malamente il ventenne Antonio Spavone, reo, secondo lui,
di non averlo salutato. Uno schiaffo fu la risposta del giovane. L’impiccioso non reagì, ma piu’ tardi si reco’ da Carmine per avere delle scuse. Ne nacque una sparatoria e lo Spavone fu ucciso. Da quel momento l’unico scopo di Antonio era quello di vendicare il fratello. L’occasione non tardo’. A Marechiaro, nell’aprile del ‘45, si sposa Maria, che è sorella di Carmine e Totonno, cioè a dire Antonio Spavone.
Nel ristorante “la finestrella” adiacente al locale del matrimonio è seduto a pranzare il Mormone. I due ristoranti si affacciano l’uno sull’altro per via di una scaletta esterna ed è là che a un certo punto appare lo sposo, a cui viene indirizzato l’epiteto di “scurnacchiato”. Fra i tavoli de “A fenestrella”, miracolosamente scampato al fuoco di fila, Spavone, seppure ferito, acciuffa l’impiccioso e sigla la sua vendetta staffilando tredici volte di coltello: “Non song’io che t’accire ma frateme che te sta ‘nnanze”.
Da adesso in avanti il nuovo Malommo sarà lui. Le tredici coltellate inflitte al boss rivale, infatti, gli danno immediatamente grande prestigio all’interno degli ambienti malavitosi; da quel momento eredita il nomignolo che era stato del fratello Carmine e del nonno Ciro,’o Malommo, diventando uno dei boss più potenti della camorra. Sara’ processato e sara’ condannato a dodici anni i, più nove per tentato omicidio di un carabiniere che aveva provato ad arrestarlo. Procida, Poggioreale, il carcere delle Murate .
In carcere nel frattempo sventra “Mangiaricotta”e prende altri 11 anni, poi paghera’ un buon avvocato al ferito per difendersi da precedenti reati. Nella patrie prigioni diventa famoso non solo per la sua pericolosità, ma anche per la sua generosità e per la sua eleganza. Nel 1963 a Poggioreale conosce Raffaele Cutolo che in futuro diverrà suo nemico giurato. Nel corso dell’alluvione di Firenze del 4 novembre 1966, si distingue per diversi atti di eroismo compiuti nel carcere cittadino: salva dall’annegamento tre compagni di cella, due agenti di custodia e la figlia del direttore del carcere delle Murate. Inoltre poiché tra gli sfollati del carcere c’erano delle donne, nel clima di paura e tensione le difende affinché non subiscano violenze da parte di carcerati più efferati. Per il suo altruismo verrà graziato dal Presidente Saragat.
A Napoli è accolto con tutti gli onori, banchetti e festeggiamenti, ma si accorge che la città è molto cambiata. La malavita non è più quella di una volta, dirà Spavone, si ammazzano le donne e pure i bambini, la droga avvelena i giovani e lui non ci vuole entrare. Ma è sempre un uomo di rispetto, sta sempre in mezzo e questo, forse, non va tanto a genio a qualcuno che con la polvere bianca ci fa “ò businèss”. Passa qualche anno ed è accusato di aver ucciso l’amico Gennaro Ferrigno per una questione di corna, dicono. 
La vittima fu trovata con una pistola in mano e Spavone sostenne sempre di aver sparato per legittima difesa. Venne dapprima assolto, poi condannato a ventotto anni e infine dichiarato non punibile. Fra primo, secondo grado, Cassazione e una latitanza in Perù, il guappo di Borgo Loreto rientra a Napoli nel ’75. Nel 1976 subisce un agguato degli uomini di Raffaele Cutolo per ordine di Mico Tripodo. In seguito all’agguato, il volto di Spavone rimarrà fortemente deturpato tanto da essere sottoposto a più di 40 interventi di chirurgia plastica negli USA. Tornerà ancora, dagli States, per stabilirsi all’Isola Verde nel ’79. Uomo cerniera, uomo di confine in tutto e per tutto fra vecchia e nuova camorra, sarà nuovamente l’ago della bilancia per concertare accordi, tregue, equilibri secondo un preciso ordine di Cosa Nostra. Nell’84 è arrestato durante il maxiblitz contro la Nuova Famiglia, la federazione di bande avverse a Cutolo. Era il 1993 quando il cancro lo stroncò. La morte gli ha camminato accanto per quasi cinquanta anni, da quel lontano giorno del 1945 quando, diciottenne, parti’ dal suo rione, Borgo Loreto, per uccidere, in un ristorante di Marechiaro,’o mpicciuso”.
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