Trivelle, niente quorum. E ora l’ego di Renzi si gonfierà a dismisura

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L’alt alle trivelle non è scattato, ma il problema resta. Il mancato raggiungimento del quorum al referendum lascia spazio all’estrazione di petrolio in mare. Gli impianti già attivi all’interno delle 12 miglia potranno continuare a pescare idrocarburi senza scadenza. E altre escavazioni potranno essere fatte all’interno dei giacimenti che hanno ottenuto la concessione. L’inerzia del sistema referendario, cioè la larga astensione fisiologica sommata ai no, ha avuto la meglio.

Insomma, le previsioni sono state rispettate. Il referendum era stato depotenziato dalla riduzione dei quesiti (da 6 a 1) ottenuta dal governo modificando le norme. Dalla decisione di separare la consultazione dalle amministrative (costata quasi 400 milioni di euro). E la politicizzazione della campagna condotta negli ultimi giorni aveva in parte cambiato la percezione della posta in gioco dando alla partecipazione un significato anti Renzi e all’astensione un significato opposto.

E’ difficile però negare che al centro della contesa ci sia una partita diversa e che questa partita sia tutt’altro che chiusa. Gli italiani amano la politica, ma talvolta la collegano alla vita reale. Per capire qual è la posta ancora in gioco bisogna distinguere tra un aspetto locale e un aspetto più generale. Quello locale riguarda la gente che vive di fronte alle trivelle. Qualcuno, soprattutto in Romagna, era preoccupato per il posto di lavoro legato all’estrazione degli idrocarburi. Molti avevano e hanno invece il problema opposto: il lavoro temono di non riuscire a conquistarlo per colpa delle trivelle, per una scelta di sviluppo che punta su infrastrutture dal futuro incerto sacrificando vocazioni alternative come il turismo e la pesca. Se gli impegni presi alla conferenza sul clima di Parigi verranno rispettati, l’uso del petrolio dovrà infatti essere ridotto in maniera severa per proteggere il clima e gli investimenti in questo campo potrebbero rivelarsi rischiosi nel medio periodo.

La questione locale era di tutta evidenza e infatti in alcune delle aree più coinvolte dall’estrazione il quorum è stato raggiunto: gli interessati hanno dato un’indicazione chiara. La questione generale invece è apparsa più sfuggente perché gli idrocarburi in gioco erano poca cosa. Parliamo di meno dell’1% del petrolio e di meno del 3% del gas utilizzati a livello nazionale. E parliamo di combustibili per i quali non è in discussione un abbandono immediato, come fu ai tempi del nucleare.

Non si trattava quindi di dare un giudizio secco, non era in gioco una richiesta immediata. Il Comitato per il sì sottolineava la necessità di spostare l’asse energetico del paese in direzione delle indicazioni che suggeriscono i climatologi e che sono sempre più apertamente sostenute dalle maggiori istituzioni internazionali: riduzione del carbone netta e immediata, diminuzione dell’uso del petrolio, impiego del gas per la fase di transizione, forti investimenti sull’efficienza energetica e sulle fonti rinnovabili, smart grid, città intelligenti, elettrificazione del trasporto. Del resto è stato lo stesso presidente del Consiglio a ripetere, alla vigilia del voto, che entro la fine della legislatura le rinnovabili dovranno dare il 50% dell’elettricità.

Il punto è che dal 2014 ci siamo mangiati buona parte dei vantaggi energetici che avevamo accumulato. Sul fotovoltaico, appena arrivati in cima alla classifica abbiamo cominciato a perdere colpi. Migliaia di posti di lavoro nelle rinnovabili sono andati in fumo. L’annunciato green act è come l’araba fenice: invisibile da due anni.

Lasciare campo libero alle trivelle senza fissare una scadenza per lo sfruttamento dei giacimenti è una decisione che va nella direzione giusta? Il mancato raggiungimento del quorum non permette di dare in Italia una risposta diversa dal sì del governo. Ma gli ambientalisti hanno già annunciato il ricorso davanti all’Unione europea. Sulle trivelle la battaglia continua.

© Copyright Redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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