Vi sono luoghi dotati di un fascino ineguagliabile, di una bellezza di fronte alla quale la razionalità si apre agli scenari misteriosi di cupe evocazioni. La Gaiola di Posillipo è uno di questi; colpisce al suo cospetto la forza del mare, il fascino del riverbero solare sullo specchio placido delle acque, che al calar del sole si ritirano leggermente e lasciano piccole sporgenze su cui è possibile sedersi ad ascoltare il rumore placido della risacca. Ma non sempre il mare è così calmo. A volte la tempesta si avventa sull’isolotto e sulla villa della Gaiola, ora abbandonata, e un tempo agganciata alla costa attraverso un camminamento pensile.
Il fragore evoca una credenza, la maledizione che da tempo accompagna lo splendore intatto del luogo. Nel dicembre del 1926 la caduta e la morte di una signora tedesca, ospite dei proprietari dell’isolotto a quei tempi, dà l’avvio a una sequela di eventi luttuosi: il suicidio della coppia che ospitava la signora, l’incidente occorso all’incrociatore corazzato San Giorgio, incagliatosi alla secca detta Cavallara, proprio di fronte alla Gaiola. E ancora naufragi e suicidi, compreso quello dell’ultimo proprietario. E così si è consolidata la maledizione di questo angolo blu, costellato dai resti romani della villa di Pollione, che cibava le sue murene con i corpi degli schiavi gettati in mare vivi.
Emilia Pirozzi
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