Mario Draghi si dimetterà, comunque andranno le votazioni per il Quirinale. Parola di Luigi Zanda, secondo cui stratta in realtà di una “ovvia banalità” e di una “prassi istituzionale”. “Se Draghi non va al Quirinale – ricorda l’ex presidente dei senatori Pd, citato in un retroscena del Giornale – dovrebbe presentare le dimissioni da presidente del Consiglio al nuovo presidente della Repubblica. È la prassi e dovrebbe farlo anche lui”.
A ogni cambio della guardia al Colle, ha sottolineato ancora Zanda, accade questo. Ma stavolta c’è un elemento decisivo: il voto sul Quirinale si intreccia con lo spauracchio del voto anticipato, quello politico. E così la nota di Zanda è in realtà un mezzo ricatto, un avvertimento a tutto il resto del Parlamento: chi è convinto di salvare poltrona e legislatura semplicemente dicendo no a Draghi presidente della Repubblica, non considera quello che accadrà un minuto dopo l’elezione del Capo dello Stato. E anzi, si legge, un voto che rompesse l’attuale maggioranza di governo di fatto la spaccherebbe senza possibilità di ritorno e a quel punto le dimissioni di Draghi non sarebbero solo “formali”, ma anche obbligate. Con tutte le incognite del caso.
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