Aspettativa di vita in Italia, disparità in aumento: a Trento si vive due anni di più rispetto alla Calabria

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Quando si parla di diseguaglianze, di solito in Italia e in Europa l’attenzione si concentra sui redditi o sui patrimoni degli abitanti. I flussi di guadagni di anno in anno tendono a favorire i ceti più forti in Italia, in Grecia o in Portogallo, secondo le stime dell’Ocse. La ricchezza finanziaria o in immobili è invece più concentrata in Germania o in Austria. Meno spesso però in Europa si guarda a uno dei motivi per i quali essere ricchi aiuta: allunga l’esistenza, o almeno le probabilità di essere in media più longevo grazie al luogo o al modo in cui si vive e alle cure mediche che ci si possono permettere.
Dopo la Grande recessione, questo sta diventando uno dei campi principali nei quali prende forma una diseguaglianza crescente fra italiani: possiamo contare su vite più o meno lunghe e abbiamo aspettative di longevità sempre più diseguali a seconda di dove nasciamo e di quanto si è potuto studiare da giovani.

Negli Stati Uniti Raj Chetty di Harvard ha dimostrato che le differenze non si limitano a favorire coloro che guadagnano di più rispetto a chi guadagna meno. La disuguaglianza nella longevità filtra fino al vertice della società: lo 0,1% a più alto reddito — persone con entrate da almeno cinque milioni all’anno — può contare su una vita media circa di sei mesi più lunga rispetto a chi guadagna due o tre milioni l’anno. L’Italia sta meglio, nel complesso. Secondo la «World Population Review» il Paese vanta la terza speranza di vita più alta al mondo, di quattro anni circa superiore agli Stati Uniti. Questo indicatore esprime il numero di anni medio che ogni neonato ha probabilità di vivere e non riflette solo l’allungarsi della vecchiaia: l’aspettativa media cresce per esempio grazie al calo della mortalità infantile, o degli incidenti d’auto.
In questo l’Italia viene da un quindicennio di successo: nel 2002 la speranza alla nascita era di ottant’anni e da allora è cresciuta quasi di tre. Una delle ragioni è la copertura universale, finanziata dalle tasse, del servizio sanitario nazionale: l’Osservatorio sulla salute dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma mostra che l’Italia è a livelli scandinavi per la percentuale particolarmente bassa di adulti con al più la licenza media che dichiarano di stare «male o molto male». In Italia sono uno su dieci, fra le persone meno qualificate; poco meno di due su dieci invece in Germania o in Olanda, dove prevalgono le assicurazioni sanitarie individuali basate sui contributi.

© Copyright redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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