Marano, il caso Pip. Il racconto agli inquirenti (prima dell’arresto) di Aniello Cesaro. “Ecco come andò con Polverino e i rapporti con la politica locale”

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Si reca in procura Aniello Cesaro, è il 16 ottobre del 2016. Le indagini sul Pip sono avviate da tempo, l’imprenditore sente l’esigenza di riferire la sua versione dei fatti ai carabinieri. Parte da lontano Cesaro, dagli anni Ottanta, dalle prime operazioni immobiliari compiute fuori regione per poi addentrarsi nelle questioni inerenti al Pip e ai suoi contatti con la criminalità organizzata maranese. E non solo. Parla anche dei suoi rapporti con alcuni politici locali.

Cesaro: “Ricordo che un giorno, all’inizio del 2008, mentre io e mio fratello Raffaele eravamo sull’area Pip per effettuare dei rilievi, si avvicinarono delle persone che ci puntarono le pistole contro invitandoci a procedere verso una casa rurale. Tre persone ci accompagnarono dentro la casa e quattro erano già lì. Sei dei sette erano armati. Capimmo subito che erano a supporto di chi parlava”.

L’uomo di cui parla Cesaro è Giuseppe Polverino, all’epoca indiscusso capo della camorra maranese.

Cesaro: “Voi siete degli scostumati, come vi siete permessi di venire qui senza permesso. Non sapete chi comanda? Non sapete chi sono io? Alla nostra risposta negativa disse sono Giuseppe Polverino”.

Polverino, secondo il racconto di Cesaro, disse che i Cesaro avrebbero dovuto cedere a loro la concessione del Pip.

Cesaro: “Rispondemmo che era impossibile perché l’appalto era stato vinto dalla Cesaro Costruzioni e non poteva essere ceduto a terzi. Dopo ore di discussione, Polverino pretese il 10 per cento dell’appalto più tutti i subappalti. Noi cercammo di contrastare le sue richieste, ma il predetto ci disse che se non accettavamo avremmo dovuto lasciare Marano. Dieci giorni dopo fummo avvicinati da altre persone che ci portarono in una casa di San Rocco, dove ci attendeva Giuseppe Polverino. Polverino ci trattenne diverse ore in quella casa e alla fine fummo costretti ad accettare il versamento di una tangente del 5 per cento, senza subappalti, la cui metà, cioè un milione di euro, doveva essere consegnata subito. Alla fine ci accordammo per un pagamento dilazionato”.

I pagamenti avvenivano, di solito, a Pasqua, Ferragosto e Natale.

Cesaro: “Funzionava così. Un loro emissario veniva una settimana prima dicendoci che la settimana dopo sarebbe passato una persona e di far trovare l’architetto o l’avvocato, cioè io o mio fratello. L’ultima rata la pagammo a Natale 2011, poi furono arrestati e non pagammo più. I soldi li mettevamo in un sacchetto nero ed erano i soldi generati in nero dalle vendite di alcuni appartamenti”.

Ancora Cesaro: “A settembre del 2012 alcune persone armate si recarono al cantiere e minacciarono una persona intimandogli di non aprire più il cantiere e di non lavorare più lì. Non cedemmo al ricatto sui subappalti, ad eccezione del calcestruzzi che affidammo alla Cafa 90”.

I rapporti con Angelo Simeoli, alias “Bastone”.

Cesaro: “Conosco Angelo Simeoli. Era interessato all’acquisto due o tre capannoni, io gli chiesi di presentare domanda per non metterci in difficoltà.

La pubblica amministrazione. Bertini e Iacolare (non indagati, ndr).

Cesaro: “Devo dire che per quel che riguarda il Pip, oltre che dalla camorra, abbiamo avuto ostruzionismo da parte della pubblica amministrazione locale. Infatti le concessioni per i capannoni, che dovevano esserci date entro 60 giorni, ci furono date solo nel 2009 e con l’arrivo di Gennaro Pitocchi al Comune di Marano. In quel periodo l’ex sindaco Bertini e il consigliere regionale Iacolare gestivano a livello politico ed erano molto influenti. I predetti ci hanno sempre ostacolati. Nel 2009, un giorno venne nel mio ufficio di Frattamaggiore Mauro Bertini il quale mi raccontava dei problemi che aveva con una sua azienda chiedendomi di dargli una mano con una banca. Mi chiese un prestito di 50 mila euro che io gli conferì in diverse volte e che non mi è mai stato restituito”.

E ancora, sempre Cesaro: “In quell’occasione mi parlò di Pitocchi insinuando che noi eravamo riusciti a portarlo a Marano ma io gli ricordai che Pitocchi aveva vinto un concorso ma non negai che a noi avesse fatto piacere. Dissi che le concessioni rilasciate da Pitocchi dovevano essere rilasciate molto prima dal Comune”.

Il presunto prestito a Bertini.

Cesaro: “Chiaramente quel prestito fu inserito nel discorso Pip. Bertini mi rassicurò che Biagio Iacolare non avrebbe ostacolato oltre. Preciso però che il maggior ostruzionismo lo avevo ricevuto proprio dal Bertini e chiaramente la mia richiesta di prestito e la mia disponibilità a darglielo sottendevano l’implicita intenzione di superare gli ostacoli che il Bertini mi frapponeva. Il prestito che Bertini mi chiedeva era chiaramente finalizzato ad un atteggiamento diverso che il predetto avrebbe avuto nei miei confronti. Mi fece capire che avrebbe allentato l’opera di ostruzionismo, cosa che però non è mai avvenuta. Mi suggerì di andare da Iacolare per portargli dei soldi per rabbonirlo, cosa che io non fece mai”.

Gli inquirenti.

L’attenta lettura delle dichiarazioni rese da Cesaro, che non sapeva di esser stato in precedenza intercettato, induce a ritenere – scrivono gli investigatori – che Cesaro non fu vittima della camorra ma fu in grado di trattare con il clan e di concludere affari vantaggiosi sia per la camorra che per la sua impresa. Cesaro infatti sarebbe stato protetto dai Polverino, sin dalla fase dell’aggiudicazione della gara e degli espropri. Cesaro era consapevole della partecipazione all’affare dei Polverino e aveva il vantaggio di potersi servire dell’ingegnere Giannella, tecnico di fiducia del clan. Anche i rapporti con “Bastone” si basavano su un vero e proprio accordo, che prevedeva tra l’altro che ad occuparsi degli espropri, per volere di Simeoli, fosse Paolo Di Maro (non indagato, ndr). Non convince, secondo gli inquirenti, anche la storia dell’estorsione dei Polverino e quella del prestito a Bertini.

 

 

 

 

 

© Copyright Fernando Bocchetti, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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