Apparso e scomparso, un fantasma. Come si è ripresentato in Spagna all’improvviso dopo sette anni di esilio forzato in Belgio, così il leader indipendentista catalano, Carles Puigdemont, ancora soggetto ad un mandato di arresto per il suo ruolo nel fallito tentativo di secessione della Catalogna del 2017, è riuscito in una rocambolesca toccata e fuga a Barcellona. Beffando la polizia regionale, i Mossos d’Esquadra, non prima però di aver raggiunto, scortato dai suoi compagni di partito, il palco allestito ad arte sotto l’Arco di Trionfo e aver arringato quasi 4mila sostenitori che lo attendevano lì, a poca distanza dal Palazzo del Parlamento regionale dove si teneva la sessione di investitura del neo governatore, il socialista Salvador Illa.
A nulla sono valse le decine di posti di blocco su strade e autostrade. Puigdemont è sparito, paradosso del paradosso, a bordo di un’automobile intestata ad un Mossos che è stato arrestato dai colleghi per complicità nel coup de theatre del leader indipendentista. Anche un altro poliziotto è finito dietro le sbarre, pur se le autorità non hanno fornito ulteriori dettagli sulla sua cattura.
Nel frattempo divampava lo scontro politico. Ad accendere la miccia Santiago Abascal, numero uno del partito di estrema destra, Vox, che se l’è presa con il premier socialista, Pedro Sánchez: “È il principale responsabile dell’impunità di Puigdemont. Agisce come un miserabile”. Il ritorno dell’ex presidente della Catalogna – su cui pende un mandato di cattura formalmente per malversazione, un reato punibile con 12 anni di carcere – era stato annunciato da giorni. L’accordo, più o meno palese, era che Puigdemont avrebbe pronunciato un discorso davanti al Parlamento poco prima dell’inizio del dibattito di investitura e poi sarebbe stato fermato con discrezione dagli agenti in borghese. Così doveva essere e così è stato. Almeno, almeno in parte.
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