Dimissioni atto secondo. Angelo Liccardo, sindaco forzista eletto nella primavera del 2013, ha gettato la spugna per la seconda volta. La prima volta era accaduto lo scorso luglio, quando il primo cittadino – nel pieno di una crisi di maggioranza, culminata con il passaggio all’opposizione di 4 consiglieri – decise di rassegnare le proprie dimissioni, salvo poi ritirarle in extremis e dopo essersi assicurato l’appoggio di due esponenti della minoranza. Da allora un autentico calvario.
I numeri risicati in Consiglio comunale (Liccardo poteva contare su un solo consigliere di vantaggio rispetto all’opposizione) non avevano consentito all’Amministrazione di dormire sonni tranquilli. I provvedimenti erano passati sempre per il rotto della cuffia e, in alcuni casi, erano stati ritirati per defezioni interne. L’ultimo Consiglio comunale, segnato dall’assenza in aula del consigliere Michele Palladino, ex candidato sindaco del centrosinistra, poi passato a dar man forte a Liccardo, ha spinto il sindaco ad abbandonare una nave che era ormai in piena tempesta.
Le difficoltà per il primo cittadino si sono ulteriormente acuite negli ultimi due mesi, quando la prefettura ha deciso di inviare una Commissione d’accesso agli atti al Comune. A quel punto in tanti, anche all’interno della maggioranza, hanno maturato l’idea che era meglio staccare la spina. Nessuno dei consiglieri, però, aveva inteso dimettersi e alla fine la decisione è toccata proprio a Liccardo. Una scelta che era nell’aria già da alcuni giorni e che è stata ufficializzata nella giornata di martedì.
E ora cosa accadrà? Le dimissioni di Liccardo diventeranno efficaci il prossimo 23 maggio. Dopodiché, se non tornerà sui suoi passi (sarebbe una barzelletta senza precedenti) si insedierà un commissario prefettizio. Al voto si tornerà nel 2017 o nel 2018 se la Commissione d’accesso, il prefetto e il Ministero degli Interni opteranno per lo scioglimento per infiltrazioni camorristiche del civico consesso. Il futuro politico? Molti degli attuali consiglieri e amministratori non sono riproponibili e per una serie di ragioni essenzialmente politiche: chi ha guidato la città ha fallito; chi è stato all’opposizione (almeno cinque o sei consiglieri) ha dimostrato di tenere un po’ troppo alla poltrona.
Discorsi prematuri ad ogni modo, perché Marano necessita – come il pane – di un lungo periodo di commissariamento: almeno un anno, ma se fossero due (a nostro modesto avviso) sarebbe ancora meglio, per la città e per l’ente. Intanto la triade commissariale, chiamata ad indagare sui presunti condizionamenti della camorra nella vita amministrativa, sta verificando il capitolo delle parentele scomode di alcuni amministratori e vagliando numerose delibere e determine. Quali? Progetti europei non completati o perduti, canoni idrici non emessi, licenze commerciali, somme urgenze, lavori pubblici, abusi edilizi non rimossi o rimossi in ritardo, senza tralasciare gli endemici problemi dell’area industriale (già oggetto di indagini della Dda), dell’isola ecologica, dell’asilo nido comunale (mai completato) e del cimitero.
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