“All’imbrunire il mare, contenuto dalle banchine, si ferma quasi del tutto; interrompe l’andirivieni delle onde e si mette a pensare”; il mare, di Silvio Perrella nel libro Doppio scatto, è quel mare che domina lo sguardo di chi, viandante, sceglie di attraversare la città a piedi e  di lasciare che essa si disveli ai suoi occhi passo dopo passo. Chi cammina a Napoli non può fare a meno di scendere le sue scale, di cercarne il mistero che continua ad affascinare e sorprendere, tanto da meritare un servizio televisivo, tutto dedicato ai percorsi delle scale, su France 2 alcuni giorni fa. Le scale sono, a Napoli, complessi sistemi urbanistici, quasi nascosti, che attraversano angoli remoti, in cui il popolo, la gente della città, entra a far parte integrante, partecipe di uno scenario suggestivo: gli occhi cadono su giardini terrazzati, aperti volentieri dai proprietari, su muretti tappezzati di bouganville, sui piccoli balconi che affacciano al mare.

Si passa attraverso antiche ville abbandonate, come villa Ebe, sulle rampe di Pizzofalcone, e attraverso luoghi silenziosi che si arroccano su spuntoni di collina, che hanno odori di altri tempi. Le Scale del Petraio, che dal Vomero portano a Mergellina, le Scale del Moiariello, che collegano Capodimonte al centro, e ancora i Gradoni di Chiaia, le Rampe Brancaccio, la Pedamentina di San Martino: più di 200 scale a Napoli, che rappresentano percorsi pedonali che dalle colline scendono al centro storico e si dirigono verso la costa. Una “città obliqua”, come la definiva Bennato, la cui origine risale all’espansione extra moenia della città nel secolo XVI. Una parte nascosta della città, come la definisce Silvio Perrella, una città  fatta nella sua essenza di scale da fare a piedi, che discendono dal Vomero al mare con un “precipizio costante”, lungo il quale è impossibile fermarsi. E sempre protagonista costante è il mare, verso il quale ogni scala protende, che ogni scala sembra cercare, agognare, voler raggiungere.

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