Suicida a Poggioreale, anche ​il fratello si era tolto la vita in carcere

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Un altro suicidio in carcere, il terzo in poche settimane. E, ancora una volta, in quello di Poggioreale. Continua la scia nera che ha travolto la casa circondariale napoletana, tra le più carenti sotto il profilo della pianta organica: l’esiguo numero di poliziotti in servizio, denunciano i sindacati, non permette un’adeguata copertura dei turni e per ora alle promesse politiche degli scorsi mesi non c’è stato seguito.

IL SUICIDIO
E. V., 30 anni, è stato trovato impiccato. Si era costruito una sorta di corda con un lenzuolo e l’aveva fissata alle sbarre, mentre gli altri detenuti erano lontani per l’ora di passeggio. A nulla sono valsi i tentativi di soccorso degli agenti: al loro arrivo era già deceduto. Un fratello dell’uomo si era tolto la vita allo stesso modo in carcere cinque anni fa.

L’uomo, originario di Maddaloni, in provincia di Caserta, era in attesa del processo di appello; accusato di rapina e tentato omicidio, sarebbe uscito da galera nel 2027. Nel carcere di Poggioreale era arrivato a giugno scorso, dopo essere stato detenuto nella casa circondariale di Avellino, ed era stato assegnato al Padiglione Napoli. Una decina di giorni fa l’estremo gesto era stata la scelta di M. C., originario di Torre del Greco, che aveva approfittato dell’ora d’aria, mentre i compagni di cella era fuori, per togliersi la vita. E, solo pochi giorni prima, un altro detenuto si era ucciso nel carcere napoletano. Una sequenza che ovviamente genera allarme.

«L’INFERNO DEI VIVI»
Emilio Fattorello, segretario nazionale per la Campania del Sappe, parla di «un’estate tragica nel carcere di Poggioreale». «Il terzo suicidio in pochi giorni – dice – è un ulteriore dramma che rappresenta una sconfitta per tutte le componenti che operano nella struttura detentiva. Tali continui drammatici eventi incidono sulla psiche della Polizia Penitenziaria. Gestire la morte di un essere umano in maniera violenta come il suicidio di certo lascia il segno e con altri mille elementi aumenta lo stress lavorativo in un ambiente particolare come quello del carcere napoletano, non a caso definito «l’inferno dei vivi». Contenere e convivere con circa 2200 detenuti con una afa insopportabile in una struttura di un secolo con angusti spazi non è segno di una civiltà degna di questo termine».

© Copyright redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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