Non solo camorra e mafia siciliana, ecco la mappa delle mafie europee

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Il Parlamento di Strasburgo chiede da anni norme più incisive, come il reato di associazione mafiosa valido in tutti i 28 stati membri e l’estensione della confisca preventiva di beni e denaro. Ma i documenti approvati a maggioranza restano per lo più lettera morta. Europol, Eurojust, Dna e Dia lamentano di avere armi spuntate. L’ex ministro della Giustizia di Zapatero: “Qui a Bruxelles si pensa che sia un problema esclusivamente italiano. Come quando il terrorismo colpiva solo la Spagna”.

Non solo ‘ndrangheta, camorraCosa nostra. Nei 28 Paesi membri dell’Unione europea sono attualmente sotto indagine circa 5mila organizzazioni criminali, calcola Europol nel rapporto 2017. Certo, poche fra queste hanno lo spessore delle mafie italiane, oggetto di 145 indagini a livello comunitario coordinate da Eurojust dal 2012 al 2016, ma sette su dieci operano in più di uno Stato e tutte insieme si spartiscono un mercato illecito, dalla droga alla contraffazione, stimato da Transcrime in quasi 110 miliardi di euro, pari a circa l’1% del pil dell’Unione. Le indagini e i rapporti investigativi mettono in evidenza anche l’importanza delle mafie russofone e turca, l’ascesa dei clan albanesi padroni del traffico di marijuana e non solo, la minaccia di gruppi meno conosciuti a livello internazionale, dalle gang di motociclisti diffuse nel Nord Europa ai clan vietnamiti attivi soprattutto all’Est. Nessun Paese può considerarsi immune, come dimostra la mappa interattiva che pubblichiamo. Neppure chi può vantare grandi tradizioni civiche e livelli di criminalità decisamente sotto controllo, come dimostra per esempio il caso della mafia siriana in Svezia. Molte di queste organizzazioni inquinano l’economia legale riciclando i profitti dei loro traffici e arrivano a condizionare la vita economica e sociale di pezzi di territorio, proprio come le mafie italiane, anche se in genere su scala minore. Eppure la macchina del contrasto a livello di Unione europea, pur con passi avanti, sembra girare a vuoto. Da almeno un decennio il Parlamento di Strasburgo approva documenti che chiedono, in particolare, di estendere a tutti i Paesi membri il reato di associazione mafiosa, il 416 bis presente nel codice penale italiano, e la possibilità di confiscare ricchezze non giustificabili anche in assenza di una condanna penale, altro “prodotto” all’avanguardia della legislazione italiana. Ma finora tutto questo è rimasto lettera morta, per l’opposizione di diversi Paesi membri, nonostante le pressanti richieste di Europol ed Eurojust, vale a dire la polizia e la magistratura dell’Unione. Così come hanno finito per impaludarsi i negoziati sulla Procura europea, anche questa sgradita a diversi Stati membri. Così le mafie e le organizzazioni criminali si dedicano allo “shopping giuridico”, cioè approfittano dei Paesi dove le norme (e le indagini) sono più morbide. Anche se uccidono poco, il pericolo messo in evidenza dagli investigatori è il condizionamento dell’economia, del mercato, della libera concorrenza. “La strategia globale delle mafie italiane all’estero è tenere il basso profilo”, osservava Europol nel rapporto sul crimine organizzato italiano del 2013. “Il controllo del territorio cercato all’estero è puramente economico”. Non si limita all’obiettivo ovvio di far soldi, ma si estende “a tutti gli aspetti della produzione e del consumo di beni e servizi, spina dorsale di ogni Paese”. Basta pensare al peso che possono avere sull’economia lecita gli enormi profitti garantiti dal solo traffico di droga. Come scrive la Direzione nazionale antimafia italiana nella relazione 2016, “bisogna impedire che la nostra generazione e, soprattutto, quelle future.

Davvero non si può pensare che esistano angoli d’Europa immuni dal rischio mafioso, se ne nel 2004 il boss della camorra Vincenzo Mazzarella, accusato di associazione mafiosa e riciclaggio, è stato sorpreso e arrestato nel parco a tema di Eurodisney, alle porte di Parigi, tra pupazzoni pelosi e hotel a tinte pastello. Del resto già a metà degli anni Ottanta lo ‘ndranghetista Giacomo Lauro trafficava cocaina nei Paesi Bassi, dove è stato arrestato nel 1992. In quegli anni la Direzione investigativa antimafia italiana stimava che la criminalità calabrese avesse rappresentanti in venti Paesi europei, ricorda un investigatore a ilfattoquotidiano.it. In Germania, teatro della strage di Duisburg a Ferragosto del 2007, due anni più tardi su richiesta delle autorità italiane la polizia tedesca è riuscita a registrare per filo e per segno la riunione di una locale di ‘ndrangheta a Singen, nel Baden-Württemberg, con tanto di antiche formule rituali: “Con ferri e catene io battezzo…”. Nei Paesi Bassi ha destato sconcerto la recente scoperta degli interessi mafiosi – ‘ndrangheta anche in questo caso – nel mercato dei fiori, storico vanto nazionale. E se le organizzazioni italiane possono indubbiamente fregiarsi del marchio di “associazione mafiosa”, codificato apposta per loro dalla legge italiana, nei 28 Paesi operano numerose altre organizzazioni che mostrano caratteristiche simili, dal potere di intimidazione verso persone non coinvolte nelle attività criminali al condizionamento dell’economia e della politica (il dirigente di polizia francese Jean-François Gayraud, nel libro del 2010 Divorati dalla mafia, conferisce la qualifica a Cosa nostra siciliana, Cosa nostra americana, ‘ndrangheta, camorra, Sacra corona unitatriadi cinesiyakuza giapponese, criminalità albanese, kosovara e turca. Ma fra gli studiosi il dibattito è aperto). Europol, nel rapporto 2009, distingueva come particolarmente pericolosi i gruppi “in grado di interferire nella repressione delle forze dell’ordine e nei processi attraverso la corruzione”, e concludeva che clan del genere fossero presenti all’epoca in “IrlandaRegno UnitoRepubblica CecaLettoniaLituaniaRomaniaBulgariaSlovacchia e, in misura minore, Ungheria e Polonia”. Definizioni a parte, scorrendo i rapporti investigativi europei e delle singole polizia nazionali, emergono diversi gruppi con caratteristiche simili ai clan mafiosi, spesso in grado di operare fra diversi Paesi dell’Unione. Le bande di motociclisti diffuse nel Nord Europa, come gli Hells Angels e i Bandidos in Finlandia, sono tutt’altro che folcloristiche nella loro capacità d’intimidazione e nel condizionamento dell’economia lecita, per esempio l’edilizia (e con le mafie italiane condividono la convivenza di una facciata pubblica e di una facciata sommersa). Diversi investigatori incontrati da ilfattoquotidiano.it per questa inchiesta segnalano l’ascesa dei clan albanesi, che stanno piazzando le loro pedine in diversi Stati membri per accompagnare il salto di qualità dal traffico di marijuana a cocaina ed eroina. Dall’Est al Regno Unito è segnalata la presenza di mafie russofone, attive soprattutto nel riciclaggio. In Estonia si attende lo sviluppo di nuovi equilibri criminali dopo l’assassinio, nel 2015, del capo supremo della Obtshak (“fondo comune”), Nikolai Tarankov, con un passato nel Kgb sovietico. Persino la Svezia, nel 2010, si è svegliata scoprendo, in seguito a un duplice omicidio, il potere raggiunto in alcune zone del Paese dalla mafia siriana, fino ad allora ignorata da tutti. E ancora nell’Est Europa si sta facendo strada la criminalità vietnamita, in grado di saldare con profitto il traffico di droga e di migranti illegali (per approfondire la situazione in ciascuno dei 28 Paesi membri.

Se la droga fa la parte del leone, il business emergente è legato al traffico di migranti e alla tratta di esseri umani destinati allo sfruttamento sul lavoro. O sessuale, in bar e bordelli, come ha dimostrato un’indagine del 2016 sulla criminalità cinese in Austria. Su oltre un milione e mezzo di migranti irregolari arrivati nel territorio dell’Unione europea nel 2015 e 2016, via terra o via mare, “quasi tutti” hanno pagato un’organizzazione criminale, osservano gli analisti della polizia europea. Altro mercato nero fiorente è quello della contraffazione, che spesso vede l’alleanza tra camorra e gruppi cinesi. Non si parla solo di vestiti e borsette. Nel suo rapporto 2016, Eurojust ricorda un’inchiesta relativa a macchinari. Affiliati alla camorra compravano, per esempio, un generatore prodotto in Cina, al prezzo di 35 euro. A Napoli lo etichettavano con un marchio famoso e lo rivendevano a 400, contro i 1250 dell’originale. Prodotti del genere, compresi attrezzi pericolosi come seghe elettriche e trapani, non rispettavano gli standard di sicurezza europei, ma finivano per essere venduti in venti Paesi del continente. L’indagine che ha portato in carcere 67 persone ha permesso il sequestro di merci per 11 milioni di euro.

Il Fatto

© Copyright redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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