Il “divin codino” compie 50 anni

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E il buddista l’ha svirgolà“. Tre metri sopra il cielo. La palla calciata da Roberto Baggio a Pasadena nel pomeriggio del 17 luglio 1994 deve essere ancora là. Nascosta da qualche parte tra le macchine del parcheggio del Rose Bowl. Come un fuoricampo da urlo dei Dodgers. Una pallina alla De Lillo che viaggia decenni nella “storia” e non torna più indietro e va avanti per inerzia. Come fosse l’incubo di una macumba. I brasiliani che evocano lo spirito di Ayrton Senna a spostare quel pallone lassù nel cielo di USA ‘94. Come se quel giorno fosse stata la fine di tutto, punto di non ritorno, i tre fischi finali del match che chiudono la carriera. Fateci caso. Da quel 17 luglio Baggio ha rincorso per altri dieci anni ciò che non era riuscito ad avere nei precedenti dieci. Mondiale su mondiale, come una lepre. Lui, abituato a impallinare bestie che fuggono e scappano, da strano buddista cacciatore, a corto di compassione per le anime animali. Si è sempre ritrovato a rincorrere qualcosa. Ad inseguire una maglia azzurra e un mondiale, meno l’Europeo o la coppa delle coppe. Baggio Roberto da Caldogno nato 50 anni fa. Sette metri per due il corridoio di casa dove da bambino faceva le partitelle con fratelli e zio. Decine i lampioni rotti tra le strade vicentine centrati col pallone da adolescente Guglielmo Tell. Centinaia i punti di sutura per ricucire la superficie delle ginocchia martoriate. “Gioco da tutta la vita con una gamba e mezzo”. Baggio ha sempre ha avuto paura che qualcuno gli entrasse da dietro a distruggergli legamenti e sogni. C’è chi racconta che nel tunnel del Franchi in una delle prime partite con la Fiorentina, qualche roccioso stopper gliel’abbia giurata di lì a qualche minuto. E il campioncino viola a prodigarsi subito in un esposto scritto prima del fischio d’inizio.

Apparentemente timido e fragile, ma forse semplicemente introverso e cocciuto. Mai spavaldo però. Baggio Roberto da Caldogno, là dove la prof d’italiano cercò di fargli passare l’esame di terza media e gli chiese l’analisi logica della frase “So che tu sei un bravo calciatore”. E lui non rispose come Totti,“Grazie del complimento”. Baggio stava già pensando a come rincorrere la coppa del mondo. Mai, però, a come rincorrere un pallone. Perché il pallone gli è sempre rimasto attaccato al piede. Numero 40, calzini a scivolare giù per il polpaccio, ed il “Divin Codino” a penzolare sulle spalle. Ma anche quell’appellativo di “Coniglio bagnato”, mai amato, ma esplicito sibilo dell’Avvocato Agnelli nell’evocare grazia e timore, là nel pantano della battaglia del campo, del guizzo o della giocata che potrebbero rimanere soltanto utopiche fantasie. Eppure c’è un passaggio/pallonetto che Baggio, marcato dal difensore, fa ad un suo compagno di squadra della Juventus dal limite a dentro l’area che vale più di mille rigori segnati e di coppe vinte. Sono l’idea, il gesto, la magnetica perfezione che dovrebbero bastare. Baggio solleva la palla e la fa salire in aria per due secondi facendola poi scendere sui piedi del compagno che sta correndo otto-dieci metri più avanti dentro l’area di rigore. Preciso. Da spaccare il centimetro. Come se avesse un telecomando in mano. L’alieno ha fatto atterrare il suo pallone da calcio nel pianeta terra.

Il Fatto

© Copyright redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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