SEXCETERA. “SI FA MA NON SI DICE”: LA SESSUALITÀ ANALE NELLA COPPIA ETEROSESSUALE

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Ci sono argomenti verso i quali l’imbarazzo è tale che riesce difficile parlarne ma non sempre incidono sui comportamenti, rientrando nella categoria di ciò che “si fa ma non si dice”. Tra questi, sicuramente, c’è la sessualità anale nella coppia eterosessuale.

Il preconcetto che pone la sessualità anale tra i comportamenti “innaturali” e immorali”, ha una collocazione storica ben precisa. Infatti, l’etica sessuale dei nostri avi era molto diversa dalla nostra per una ragione fondamentale: gli antichi (greci e romani) erano pagani. Solo con l’avvento del cristianesimo s’introdussero certi precetti sessuali.

Infatti, dal principio del secolo IV, quando il cristianesimo divenne religione ufficiale dell’impero romano, furono emesse le prime leggi che vietavano gli atti di sodomia.

Da quel momento, questa biblica proibizione ha costantemente influenzato l’accettabilità della sessualità anale nella cultura occidentale.

Tuttavia, nella fantasia e nello spettro dei comportamenti erotici, il sesso anale è presente da centinaia, se non migliaia di anni. Oggi, il cambiamento delle norme culturali, con la proliferazione di riferimenti nella cultura popolare (riviste, programmi televisivi, film, libri) fa registrare una maggiore prevalenza del comportamento.

Purtroppo, persino la ricerca scientifica, non libera dai condizionamenti, ha da sempre prestato poca attenzione alla pratica di sesso anale nelle coppie eterosessuali.

Ciò costituisce un limite per la comprensione dei problemi sessuali legati a questa pratica e per la diffusione d’informazioni preventive corrette, giacché il rapporto anale è praticato, in alcuni casi regolarmente, nelle coppie eterosessuali.

Sembra che questa pratica sessuale, coinvolga più del 40% delle coppie eterosessuali e pare sia più frequente nelle coppie con una relazione stabile rispetto a quelle con partner occasionali. Tra gli adolescenti, i tassi di prevalenza si attestano intorno al 16%. Per alcuni, la scelta potrebbe essere legata alla verginità, ritenendo che un individuo che si astiene dal sesso vaginale può essere considerato ancora “vergine”.

Il rapporto anale eterosessuale rappresenta un fattore di rischio per la trasmissione dell’HIV e di altre infezioni sessualmente trasmesse.

Purtroppo il preservativo è usato molto meno nei rapporti anali tra uomini e donne.

Le ragioni per il minore uso del preservativo durante il rapporto anale rispetto al rapporto vaginale dipendono dalla minore percezione di rischio d’infezioni e gravidanza. Pare che un discreto numero di adolescenti scelga il rapporto anale come metodo di contraccezione e questa sicurezza sarebbe un sufficiente disincentivo all’uso del preservativo, nonostante l’esposizione alle infezioni sessualmente trasmesse. Il preservativo inoltre, se non è associato a un buon lubrificante, va più frequentemente incontro a rottura o slittamento.

Inoltre, il fatto che il rapporto anale eterosessuale si verifichi più frequentemente in un contesto di impegno e di relazione monogama, tranquillizza sotto l’aspetto della sicurezza con la riduzione dell’uso del preservativo e aumento di alcuni comportamenti a rischio.

Tra questi, il cattivo costume di praticare il rapporto anale ricettivo prima del rapporto vaginale, trasportando in vagina con il pene, microrganismi tipicamente ano-rettali.

Come è noto l’infezione da papillomavirus (HPV) è la causa del cancro del collo dell’utero.

Anche il cancro anale può essere causato dalla trasmissione del papillomavirus.

Vi è una somiglianza biologica tra le cellule del collo dell’utero e quelle dell’ano che diventano bersaglio del papillomavirus. Infatti, in entrambi i casi, sono colpite le cellule presenti nel punto di passaggio tra un tessuto e un altro.

Ma perché, nei rapporti eterosessuali, alcuni includono regolarmente la sessualità anale?

Spesso la scelta, non dipende dalla voglia di soddisfare il desiderio del partner ma da un desiderio condiviso all’interno della coppia.

Le donne, in un contesto in cui si è raggiunta una buona intimità e fiducia, considerano questa pratica sessuale un modo, eccitante e piacevole, per infrangere atavici tabù.

Esiste una diffusa convinzione che il rapporto anale ricettivo sia doloroso. In realtà, più del 40% delle donne che lo praticano, non solo lo trovano piacevole ma riferiscono di essere in grado di raggiungere l’orgasmo.

Per gli uomini è la novità, la varietà sessuale a eccitarli ancor più se esaltata da quel pizzico di sensazione di dominio e di controllo che questo tipo di performance comporta.

Tuttavia, le indagini sugli uomini eterosessuali con partner di sesso femminile, si sono limitate alle pratiche insertive e mai ricettive, come la masturbazione anale, che pure è praticata.

Il sesso anale fa chiaramente parte del repertorio sessuale eterosessuale contemporaneo e lo è stato da sempre. Ciò nonostante persiste lo stigma socioculturale, che lo ha contrassegnato nei secoli.

Il tabù storico e il pregiudizio, per esempio, associa le pratiche sessuali anali solo all’orientamento omosessuale. È di questi giorni l’intervista alla dott.ssa Silvana De Mari, che descrive i danni all’organismo correlati alla pratica sessuale degli omosessuali.

Ecco, probabilmente la collega, se non si fosse fatta guidare dal proprio pregiudizio, avrebbe potuto scoprire che la sessualità anale è numericamente più diffusa tra gli eterosessuali che tra gli omosessuali. Ciò implica che nella pratica clinica, lei da endoscopista, avrà sicuramente visto più donne che uomini con fistole, ascessi perianali, ragadi e incontinenza anale a cui non avrà evidentemente correlato la giusta causa, né potuto suggerire le opportune precauzioni.

Lo stesso pregiudizio, le ha fatto mettere in secondo piano, il fatto che i danni d’organo per i rapporti sessuali vaginali non protetti (dalle infezioni sessualmente trasmesse, con conseguenze disastrose sul piano riproduttivo fino al cancro del collo dell’utero legato alle infezioni da HPV) contano, ogni anno, un numero di vittime ben più alto rispetto alle malattie d’organo legate alla sessualità anale (omosessuale o eterosessuale che sia).

Per questi problemi, legati a rapporti eterosessuali a rischio, nessun operatore ritiene che si ratti di problemi legati a una pratica contro natura, né che la soluzione risieda nell’astinenza sessuale ma piuttosto nelle giuste misure preventive e nella maggiore diffusione dell’educazione sessuale tra i giovani.

C’è da dire, infine, che la stigmatizzazione o la mancata considerazione della sessualità anale, non aiuta gli operatori sanitari nell’esercizio della propria attività clinica.

Perché, se c’è una comprensibile riluttanza dei/delle pazienti a discutere di quest’aspetto della propria sessualità, ciò non giustifica la categoria medica dal non prendere in considerazione la possibilità che certe problematiche siano legate a pratiche sessuali anali. Questa ritrosia, talora, impedisce allo specialista di porre, con la dovuta delicatezza, quelle giuste domande che potrebbero favorire un franco dialogo su questi aspetti della sessualità.

Questa reticenza, questa mancata consapevolezza e capacità di gestire il proprio pregiudizio, limita la possibilità di stimare i rischi, di suggerire i giusti comportamenti protettivi, di fare diagnosi precoce e, in definitiva, di essere realmente efficaci in una relazione di aiuto.

Maria Rossetti, sessuologa e ginecologa

 

© Copyright redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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