Marano, processo Simeoli: nelle 650 pagine della sentenza il racconto dell’intreccio politica-camorra

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Un vero e proprio sistema politico-affaristico che “comandava” in città. Un sistema criminale che, secondo il racconto di numerosi collaboratori di giustizia, si sarebbe servito anche di esponenti politici del territorio, alcuni dei quali hanno ricoperto o ricoprono cariche di primo piano. E’ quanto emerge dalle 650 pagine della sentenza di condanna degli imprenditori Antonio, Benedetto e Luigi Simeoli, fondatori e titolari della Sime costruzioni e di altre società del ramo immobiliare. I re del mattone, condannati  in primo grado per associazione mafiosa, erano di fatto la longa manus del clan Polverino. Per circa trent’anni Antonio Simeoli, meglio noto come “Ciaulone” ha esercitato la sua attività imprenditoriale in regime pressoché di monopolio. “Ciaulone”, poi affiancato dai figli Benedetto e Luigi, ha riciclato nelle sue attività i soldi del boss Giuseppe Polverino, alias ‘o Barone, in carcere dal 2012, e investito parte dei proventi nelle lucrose attività dello spaccio di hashish, orchestrate sulla rotta Marano-Spagna-Marano dai sodali dell’ultimo padrino di Marano.

I legami con i Nuvoletta e i Polverino.

“I Simeoli – racconta il collaboratore di giustizia Salvatore Izzo, cresciuto nel clan Nuvoletta  – avevano inizialmente realizzato costruzioni con i soldi dei Nuvoletta, poi avevano proseguito con il clan Polverino. I Simeoli avevano fatto molte operazioni utilizzando i soldi dei Polverino, certamente tra il 2001 e il 2002, quando gli stessi, in occasione delle elezioni comunali, misero gli occhi su alcuni terreni non edificabili”. Izzo ha riferito anche del ruolo di primo piano ricoperto da un altro imprenditore del ramo edile di Marano, Angelo Simeoli, meglio noto come “Bastone”, cugino di Antonio e indagato in un altro procedimento giudiziario. Entrambi espressione del clan Polverino, secondo il pentito, ma ognuno con il proprio referente politico sul territorio.

Le riunione nelle case dei Simeoli.

Non solo costruzioni, ma un ruolo ben più ampio e di spessore all’interno del clan. “Simeoli aveva messo a disposizione del clan diversi appartamenti del parco Sime – ha riferito il pentito Biagio Di Lanno, uomo di punta dei Polverino, condannato per traffico di droga – Gli affiliati vi si riunivano quando dovevano raccogliere le puntate per le partite di droga dalla Spagna”.

Il monopolio sul mercato immobiliare e l’influenza sulla politica locale.

“Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, quando i Polverino si staccarono dai Nuvoletta – ha riferito il pentito Roberto Perrone, braccio destro del “Barone” e uomo di riferimento per gli affari nel comune di Quarto – non c’era concessione edilizia, a Quarto e a Marano, che non venisse gestita dalla nostra organizzazione. La gestione era stata affidata ai Simeoli”. Un’influenza esercitata anche nella pubblica amministrazione. “Antonio Simeoli  riusciva a condizionare gli esiti delle elezioni politiche a Marano, poiché era molto influente. Alla fine degli anni Ottanta – secondo Perrone – riuscì a far eleggere suo nipote Luigi Simeoli (attualmente in carcere ndr), poi divenuto vicesindaco della città. “Ciaulone”, negli anni successivi,  è riuscito ad ottenere tutti i titoli abitativi e le concessioni per le sue costruzioni, soprattutto grazie alle conoscenze e alle pressioni che riusciva ad esercitare sulla componente politica del Comune di Marano”.

I rapporti con gli altri clan.

“Antonio Polverino (zio di Giuseppe, attualmente latitante ndr) – ha riferito inoltre Perrone – era intervenuto in merito ad un appalto che Simeoli aveva preso presso il cimitero di Poggioreale dove avrebbe dovuto costruire centinaia di loculi. L’area era sotto la giurisdizione del clan Contini. Allora un affiliato dei Polverino, Giuseppe Ruggiero (attualmente in carcere ndr), fece da intermediario per evitare che i Contini si presentassero al cantiere e fosse concesso ai Simeoli uno sconto sulla tangente da pagare”.

La tentata speculazione edilizia nella zona di Licola.

“Nel clan Mallardo si diceva che Antonio Simeoli fosse un uomo dei Polverino – ha raccontato invece il collaboratore di giustizia Giuliano Pirozzi, mente economica del clan di Giugliano – Nel 2011, quando si stava per approvare il piano regolatore a Giugliano, ho incontrato i Simeoli a  Marano, al bar “Fumo e caffè”. Luigi Simeoli sosteneva di voler utilizzare Antonio Di Guida (costruttore di Marano ed ex assessore provinciale di Forza Italia non indagato) per far approvare il Puc. L’incontro era stato organizzato per definire le condizioni economiche dell’affare. In quell’occasione ribadirono più volte di avere forti amicizie con Luigi Cesaro (ex presidente della Provincia e attuale parlamentare di Forza Italia non indagato) e Antonio Di Guida, e che erano garantiti da Cesare Basile (imprenditore giuglianese ammazzato due anni fa e ritenuto vicino al clan Mallardo). Di Guida e Basile – ha riferito Pirozzi – erano i garanti dell’operazione per i Mallardo.

“Al Comune ci comandano a bacchetta”.

A riferirlo al pentito Giuliano Pirozzi sarebbe stato Massimo Nuvoletti, ex assessore di Rifondazione comunista della giunta Bertini ed ex vicesindaco della giunta Perrotta. “Ormai al Comune non è più come una volta – avrebbe riferito Nuvoletti (non indagato) a Pirozzi – ora comandano i Polverino. Dobbiamo fare delle cose forzate, prendere decisioni, firmare determine. “Anche Biagio Iacolare (ex consigliere regionale dell’Udc, pupillo di Ciriaco De Mita e attuale collaboratore del governatore Vincenzo De Luca) viene con Tonino Di Guida e ci dice cosa dobbiamo fare, tutti i tecnici sono compiacenti. Dobbiamo favorire i Simeoli, sia “Ciaulone” che Bastone”. Io mi ritengo una persona moralmente sana, ma purtroppo vivo in un determinato contesto e spesso devo firmare delibere, far finta di non vedere. Non ce la facciamo più, chissà quale giorno viene a galla qualcosa”. Inizialmente indagato, in quanto per anni presidente di una cooperativa edilizia dei Simeoli, la posizione di Iacolare è stata poi archiviata, prima per intervenuta prescrizione e successivamente alla luce di una sentenza della Cassazione.

Gli abusi edilizi e il convento francescano di via Casalanno.

Le indagine a carico dei Simeoli, oltre che sul racconto dei pentiti e sulle intercettazioni ambientali, traggono origine dalla vicenda del convento francescano di via Casalanno, a Marano. Un’ala del convento, tra il 2005 e il 2006, venne letteralmente murata da una palazzina realizzata dai Simeoli. “La pratica che ha consentito ai Simeoli di costruire in sanatoria – osservano i giudici della quarta sezione del tribunale di Napoli – rilasciato dall’ex dirigente dell’area tecnica del Comune di Marano, Armando Santelia (reato prescritto), è illecita. I funzionari del Comune, Armando Santelia e Gianluca Buonocore (assolto) non hanno compiuto alcuna verifica sulla legittimità urbanistica dell’intervento”.

La telefonata tra Perna e Santelia.

“Significative appaiono le conversazioni” – scrivono i giudici – del 25 maggio del 2007 tra Perna, impiegato dell’ufficio tecnico comunale (reato prescritto) e Armando Santelia. I due parlano al telefono dopo il sequestro, operato dai carabinieri, della palazzina a ridosso del convento. “Dobbiamo incontrarci prima possibile, le cose si sono complicate. Nel dispositivo emanato dai giudici si fa esplicito riferimento al tentativo, da parte dei tecnici comunali, di voler in qualche modo agevolare le aziende dei Simeoli, ma “non è provato – osserva il collegio giudicante – che abbiano agito nell’interesse del clan Polverino o per finalità di carattere mafioso”.

Fonte Il Mattino

© Copyright Fernando Bocchetti, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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