Era sotto i riflettori della Dda di Napoli da almeno un anno ma ieri, nell’area industriale di via Migliaccio, sono scattati anche i sigilli. Un sequestro preventivo, quello eseguito dai carabinieri del Ros, che riguarda tutta la strada di accesso ai 40 capannoni realizzati dalla Iniziative industriali di Sant’Antimo, la società di scopo della Cesaro costruzioni srl.
Aniello e Raffaele Cesaro, fratelli dell’ex presidente della Provincia Luigi, sono finiti nel registro degli indagati. Con loro è indagato anche Francesco Scialò, consulente di lungo corso della famiglia Cesaro. Minaccia, falso materiale e ideologico, il tutto aggravato dalla finalità mafiose, le accuse formulate dai pm Mariella Di Mauro e Giuseppe Visone. Le opere di urbanizzazione del polo produttivo, in particolare la rete fognaria e del gas nonché l’impianto elettrico, erano state collaudate con documenti irregolari, con firme false o estorte, attraverso una serie di minacce, ai consulenti e ai tecnici contattati di volta in volta dai Cesaro. A raccontarlo ai carabinieri del Ros sono Giuseppe Nasto e Cesarino Serrato, rispettivamente collaudatore delle opere interne ed esterne e collaudatore tecnico-amministrativo del Pip.
“I Cesaro mi contattarono tre-quattro anni fa – dice Giuseppe Nasto ai carabinieri che lo convocano in caserma – Volevamo farmi sottoscrivere alcuni documenti riguardanti il Pip di Marano. Chiesi tempo per vagliare la documentazione, ma Aniello Cesaro mi fece capire che se non avessi firmato non avrei potuto più lavorare per loro e avrei perso il lavoro presso il centro commerciale “Il Molino”, una delle loro aziende per cui già collaboravo. Per questo motivo decisi di fare ciò che mi aveva chiesto Aniello Cesaro”. Alle pressioni, invece, non cedette l’ingegner Cesarino Cerrato, che riferisce anch’egli di un incontro avuto con i Cesaro e l’ingegnere Scialò. “Mi contattarono nel gennaio del 2014 e mi chiesero di sottoscrivere un collaudo tecnico-amministrativo. Lessi attentamente quel documento e capii che si trattava di un’opera di enorme entità. Obiettai che necessitavo di un’attenta analisi preliminare e mi rifiutai di firmare”. Firma e timbri di Cerrato furono poi apposti ugualmente in calce a quella documentazione ma, come risulta dalle perizie disposte dai carabinieri, la firma dell’ingegnere fu falsificata.
Nell’ordinanza di sequestro firmata dal gip Franca Ferri si fa riferimento anche ad altri episodi. Dalla documentazione prelevata dai carabinieri presso l’ufficio tecnico di Marano emerge che l’ex dirigente di quel settore, Amerigo Picariello, nel febbraio del 2013 aveva chiesto chiarimenti alla Iniziative industriali di Sant’Antimo, in merito proprio alla mancata presentazione dei certificati di collaudo delle opere di urbanizzazione. Il dirigente reiterava la richiesta in varie occasioni, fino a quando la Iniziative industriali non la ottemperò, facendo però alcune puntualizzazioni: “Si evidenzia che in data 4 novembre 2010 si è provveduto alla consegna provvisoria delle opere di urbanizzazione interne ed esterne secondo quanto previsto dal progetto di stralcio firmato dalla giunta comunale nel dicembre del 2005, previa redazione di collaudo tecnico-amministrativo provvisorio sottoscritto dal dirigente (Pitocchi ndr) dell’area tecnica”.
I lavori furono ultimati nel settembre del 2013 anche se fino a novembre non era stato ancora effettuato e redatto il collaudo definitivo delle opere. Ciononostante i Cesaro avevano già venduto gran parte dei capannoni.
Ascoltato dagli investigatori, l’ex dirigente comunale Picariello racconta: “Alle mie richieste di chiarimenti sui certificati di collaudo – spiega Picariello – non ho mai ricevuto risposte esaustive da parte del concessionario, ovvero dei Cesaro. Ricordo che in un’occasione venne in ufficio da me uno dei fratelli Cesaro, accompagnato dall’ingegnere Giannella (non indagato), che conoscevo in quanto in un mio precedente incarico al Comune, lo stesso era membro della commissione edilizia dell’ente. Gli stessi, con toni pacati, cercarono di argomentare le loro ragioni ma ritenni di essere nel giusto e pertanto non rilasciai i certificati di agibilità”.
E ancora: “Non ho provveduto al rilascio dell’agibilità perché quando mi arrivò la richiesta chiesi chiarimenti e un’integrazione documentale. I miei dubbi si fondavano anche e soprattutto su un elemento: il collaudatore delle opere di urbanizzazione non era mai stato nominato dal Comune e io ritenevo che dovesse essere redatto da un tecnico nominato dall’ente pubblico. Il certificato era invece firmato da un collaudatore esterno, di cui non ricordo il nome, dal direttore dei lavori, di cui non ricordo il nome, e dall’ingegnere Gennaro Pitocchi, che prima di me aveva occupato il ruolo di capo dell’ufficio tecnico comunale”.
I carabinieri, successivamente, convocano in Procura anche Tommaso Garofalo, architetto a cui la Iniziative industriali aveva affidato la direzione dei lavori nel 2006. A Garofalo, nel 2008, dopo le sue dimissioni, subentrò Domenico Domenicone, attuale amministratore della società che fa capo ai Cesaro.
“Mi trovai a parlare con un mio amico, l’ingegnere Nico Santoro, deceduto due anni fa, che in passato si era occupato di progetti di finanza pubblica per il gruppo dei Cesaro. Santoro mi propose di occuparmi della direzione dei lavori del Pip di Marano e mi disse che sarei stato pagato dal concessionario e non dal Comune di Marano. Tale circostanza aveva suscitato in me delle remore in quanto come direttore dei lavori avrei dovuto controllare la società che mi pagava mentre in genere i pagamenti vengono effettuati dall’ente che commissiona i lavori. Mi furono presentati da Santoro i progetti per le urbanizzazioni. Mi recai sul Pip di Marano la prima volta accompagnato da Santoro. Lì trovai anche Raffaele Cesaro. Iniziammo le operazioni di picchettamento e recinzione dell’area e preciso che non c’era alcun rappresentante del Comune di Marano e non fu redatto alcun atto di consegna dei lavori. Manifestai le mie perplessità, ma Santoro mi disse che sarebbe stato fatto nei giorni successivi. Mi accorsi – aggiunge Garofalo – fin dall’inizio che i lavori non venivano eseguiti così come previsti negli elaborati progettuali. Mi lamentai anche con Cesaro, che mi disse di non preoccuparmi in quanto il Comune avrebbe poi approvato una variante. Insistetti, ritenendo che la prassi non era corretta e che non c’era alcun fondamento giuridico rispetto a quel che sosteneva, ma Cesaro si inalberò e mi disse che dovevo fare ciò che mi era stato richiesto. Le divergenze sorsero soprattutto sull’utilizzo dei materiali e dei pozzetti. Delle anomalie e irregolarità riscontrate ne parali e mi lamentai anche con Santoro, al quale annunciai che mi sarei dimesso dall’incarico”.
© Copyright Fernando Bocchetti, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews