Gomorra dalla A alla Z. Carmine Alfieri, il superboss del Nolano che decise di collaborare con lo Stato

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Carmine Alfieri nasce a Saviano, in provincia di Napoli, nel 1943. Camorrista, è stato esponente di punta della Nuova Famiglia nella provincia di Napoli e Salerno. Oggi è un collaboratore di giustizia. Detto “o ntufato” (l’incazzato) per l’espressione arcigna del viso. Negli anni Settanta si dedica al commercio di carni e vende mobili a San Giuseppe Vesuviano. Poi bische ed estorsioni. Nel 1973 accetta di nascondere il professore di Ottaviano, ovvero Raffaele Cutolo, in un casolare di Villa Literno. Nel 1976 finisce a Poggioreale perché imputato di aver ucciso un uomo. Sarà poi assolto per insufficienza di prove. In carcere incontra nuovamente Cutolo, da cui dice di essersi sempre tenuto alla larga. I suoi amici sono i detenuti Pasquale Galasso, Marzio Sepe, Enzuccio Moccia e Michele Zaza. Quando torna libero, nel 1978, scopre che i cutoliani si sono impossessati del suo territorio a San Giuseppe Vesuviano. Gli uomini di Cutolo vogliono a tutti i costi che Alfieri faccia atto di sottomissione e Cutolo, nel maggio del 1979 (era evaso dal manicomio il giorno 15), va a chiedergli personalmente di arruolarsi nella Nuova camorra organizzata.

Alfieri rifiuta e chiede aiuto ai fratelli Nuvoletta. Secondo quanto racconta lo stesso Alfieri, è proprio la persecuzione di Cutolo che favorisce la nascita di questa nuova banda, con Galasso, Moccia, Giuseppe Ruocco, Sepe e Geppino Autorino. Carmine diventa quasi naturalmente il capo del clan, che si riunisce per la prima volta in una masseria di Marano. Cercano di non dare nell’occhio, colpiscono solo cutoliani di basso profilo, non si fidano dei Nuvoletta, che definiscono Cutolo un pazzo, ma intanto ne proteggono la latitanza.

Nel 1981 la NCO gli ammazza il fratello Salvatore, che era stato biscazziere con lui. Alfieri si mette una cravatta nera e giura che non se la toglierà fino a vendetta compiuta. Scappa in una masseria di Piazzolla di Nola, che sarà il suo quartier generale segreto per dieci anni. Nel 1982 sequestra Alfonso Catapano, uno degli assassini del fratello, e lo uccide con una coltellata al petto. Cutolo risponde con l’omicidio del fratello di un altro boss della Nuova famiglia, Pasquale Galasso. Alfieri allora riunisce i suoi in un nuovo clan e la mattanza prosegue: Alfonso Rosanova, lo stratega di Cutolo, viene freddato nel 1982 in un ospedale di Salerno; nel 1983 Vincenzo Casillo detto o’ nirone e tuttofare di Cutolo, salta per aria quando mette in moto la sua Golf.

Alfieri festeggia rinunciando alla cravatta nera. Di Cutolo e della Nuova camorra organizzata disse: «l’implosione fu causata sia all’azione di contrasto delle forze dell’ordine che alla nostra azione contemporaneamente. Iniziò la progressiva fine di quelle che io ho chiamato coperture politiche, che erano assicurate ai cutoliani dal potere politico doroteo, di cui Antonio Gava era la massima espressione in Campania. Automaticamente la nostra organizzazione ereditò quelle stesse coperture politiche. Insomma, così come ci impossessammo del territorio, ci impossessammo anche di tutti i rapporti con i rappresentanti politici e dell’imprenditoria che prima avevano avuto rapporti con Cutolo».

Alfieri, divenuto il capo assoluto di molti comuni della provincia di Napoli e di Salerno, descrive così se stesso al culmine della potenza: «Non ho mai imbrogliato nessuno. Sono stato sempre modesto e rispettoso con tutti. Anche nel gruppo dei miei amici, non mi sono mai sentito il capo. Pensate che non mi sono mai voluto sedere a capotavola». O’ Ntufato vieta lo spaccio di stupefacenti nei negozi, proibisce le estorsioni, crea quindi intorno alla Nuova Famiglia il consenso sociale indispensabile per condizionare i politici.

Pretende però dal 3 al 5 per cento di tangente sugli appalti (la copertura del canale Conte di Sarno, una tratta ferroviaria da Nocera a Caloria, la terza corsia dell’autostrada Roma-Napoli, la costruzione di un immobile dell’Università di Napoli ecc.) e impone ai vincitori delle gare sia i fornitori che le ditte a cui affidare le subforniture. Nel 1984, dopo la guerra con Cutolo, entra in contrasto con i Nuvoletta e i Gionta.

Saranno i suoi uomini e gli uomini dell’altro boss della Nuova famiglia, il suo alleato Antonio Bardellino, ad effettuare le stragi di Marano e quella di Torre Annunziata. A far catturare Alfieri fu il suo braccio destro, Pasquale Galasso, che, una volta arrestato e messo in cella, si pente. In un villino di Scisciano, i carabinieri scavano sotto un comodino e finiscono in un tunnel da cui vedono sbucare Alfieri con le mani alzate. Nel nascondiglio, quadri e icone di grande valore, dischi di Bach e Vivaldi, videocassette: l’Inferno di Dante, le Massime di Goethe con foglietti di riflessioni dello stesso Alfieri.

A Pianosa, dove è detenuto in regime di 41 bis, non vuole parlare. Ma il suo mondo si sta sfaldando, gli amici tradiscono. Alla fine si pente, ufficialmente. Benché gli vadano a sparare in casa della sorella a Saviano, gli uccidano un’amica, gli gambizzino il cognato, Alfieri non torna più indietro e manda in galera una quantità impressionante di camorristi e politici collusi. Il 20 settembre 2002 gli ammazzano il figlio Antonio, L’11 dicembre 2004 il fratello, il 18 dicembre 2007 il genero Vincenzo Giugliano. Ma non cambierà nulla: Carmine Alfieri non tornerà sui suoi passi e non interromperà mai la sua collaborazione con la giustizia.

© Copyright Fernando Bocchetti, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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