L’identità sessuale non dipende solo dalla biologia ma è influenzata dalla società e dalla cultura del luogo di appartenenza. Pertanto si modella durante tutto il ciclo di vita ed è appresa attraverso le relazioni, innanzitutto quelle privilegiate, con la madre, il padre e poi via via tutte le altre, i fratelli, gli amici, gli insegnanti e il partner. Tutti costoro rappresenteranno tanti specchi che ci permetteranno di acquisire la nostra specifica identità sessuale che è alla base dell’identità della persona.
Amin Maalouf, giornalista e scrittore libanese, ha detto: “La mia identità è ciò che fa si che io non sia identico a nessun’altra persona”.
Pertanto, non potremo comprendere l’identità sessuale di una persona se non teniamo conto di tutti questi aspetti che la costituiscono e la modellano.
Schematicamente possiamo dire che le componenti dell’identità sessuale sono:
- Il Sesso biologico
- L’identità di genere
- L’orientamento sessuale
- Il ruolo di genere
In ognuno di questi aspetti che caratterizzano la nostra identità ci sono variabili che giustificano e strutturano la nostra diversità.
Tutto comincia alla nascita, con l’osservazione dei nostri genitali, sulla base dei quali ci dichiarano all’anagrafe come maschio e femmina.
Molti di voi credono che questo sia un dato su cui possiamo essere certi ma non è così.
Infatti, da un punto di vista strettamente biologico, devono determinarsi, al momento opportuno e in sequenza, una serie di eventi ben precisi per far si che nasca un maschio o una femmina.
Il sesso è determinato dai geni XY per il maschio e XX per la femmina. Però mentre un individuo che ha un solo cromosoma Y non potrebbe sopravvivere, vivere con un solo cromosoma X è possibile. Le persone con la sindrome di Turner, sono donne a tutti gli effetti anche se sterili. Questo è il caso della bravissima attrice Linda Hunt.
Una recente teoria indica un’iniziale fase comune dei due sessi, detta di protofemminilità.
Per cui, anche in presenza del cromosoma Y, se il percorso di differenziazione verso il maschile è bloccato o difettoso, l’embrione procede, nel successivo sviluppo, in direzione femminile. Potremo quindi trovarci persone dall’aspetto femminile ma con cromosomi sessuali maschili (XY): come nel caso dell’attrice Kim Novak, portatrice della sindrome di Morris.
Ciò vuol dire che il programma biologico privilegia sempre il femminile.
Quindi, il mito di origine della specie dovrebbe essere rivisto e bisognerebbe affermare che non dalla costola di Adamo è nata Eva, ma piuttosto il contrario.
Ma di là di queste considerazioni, che lasciano il tempo che trovano, dobbiamo renderci conto che un minimo difetto, durante la gestazione, potrebbe far nascere una persona con genitali femminili, che talora solo dopo molti anni, magari attraverso indagini per scoprire le cause della sua sterilità, scoprirà di appartenere geneticamente all’altro sesso.
Certo, chirurgicamente si potrebbe intervenire, ma queste bambine, educate e cresciute come femmine, a livello cerebrale avranno sviluppato una sorta di codice di genere che non potrà essere cambiato. Di fatto, quasi mai questi soggetti richiedono interventi chirurgici riparativi e/o modificazioni anagrafiche che allineino l’identità sociale al loro assetto genico.
Ciò dimostra che dentro di noi non siamo maschi o femmine solo perché abbiamo i genitali che lo evidenziano ma anche perché la cultura e l’educazione ci hanno reso tali.
Pertanto anche se, a parte questi rari casi, nasciamo tutti con un patrimonio biologico ben definito, poi con questo patrimonio iniziamo un percorso di vita, che dipenderà fortemente da ciò che incontreremo nella nostra storia personale.
Perché quando nasciamo, è come se ci immergessimo in un mare il cui variopinto colore dipende dalla cultura, dagli usi e dai costumi dell’epoca e del posto in cui c’è capitato di nascere. In questo mare, sguazzando come un pesce nell’acqua, facciamo tutte le nostre esperienze di vita.
Questa è l’identità di genere, che rappresenta la seconda componente dell’identità sessuale. A questo punto spero sia già ben chiaro che i termini sesso e genere non sono sinonimi. Perché quando parliamo di sesso ci riferiamo alla biologia ma quando parliamo di genere ci riferiamo allo stato psicologico che rispecchia il senso interiore: “il sentirsi” maschio o femmina.
Infatti, l’identità di genere è la convinzione individuale di essere maschio o femmina. Succede cioè, dopo la nascita, che a un certo punto cominciamo a diventare consapevoli del fatto che apparteniamo al sesso maschile o femminile.
Il processo in base al quale un bambino si percepisce come maschio e una ragazza si percepisce come femmina è influenzato sia dalle predisposizioni biologiche che dall’apprendimento sociale.
Infatti, l’identità di genere è una delle prime, più potenti e costanti pressioni che si esercitano sul bambino ancora prima che nasca, visto che l’ecografia ci permette di sapere ben presto il sesso del nascituro.
Nessuno sfugge a questa notizia: è maschio o femmina?
Dalla conoscenza del sesso, i genitori, i nonni, i fratelli e la società tutta, in relazione ad esso, si comportano in maniera diversa.
Perché diverse saranno le aspettative, la scelta del nome, il fiocco fuori la porta di casa, l’abbigliamento e i giocattoli.
Ma poiché l’identità di genere comincia a differenziarsi prima ancora che il bambino sia in grado di parlare, si è pensato fosse un tratto completamente innato. Invece non è così. Noi nasciamo con un qualcosa che è solo predisposto a diventare la nostra identità di genere, nello stesso modo in cui siamo predisposti per il linguaggio.
Ecco, se ci soffermiamo a riflettere su questa meravigliosa capacità che abbiamo, il linguaggio e su quanto possa essere influenzato dall’educazione e dalla cultura del luogo e dell’epoca in cui viviamo, nel determinare differenze nel modo di parlare da persona a persona, dalle più grossolane alle più fini e impercettibili, riusciremo forse a comprendere meglio le differenze individuali dell’identità di genere.
Pertanto sappiate che i bambini diventano capaci di classificare gli altri in base al genere a partire dai 18 mesi.
A due anni sono in grado di rispondere correttamente alla domanda: “Sei un bambino o una bambina?” Però, non sono ancora in grado di comprendere che il sesso non cambia per tutta la vita. Questa cosa la capiranno solo a partire dal quarto anno di età. Mentre ancora più tardi, verso i 6-7 anni, cominceranno a rendersi conto che il genere rimane lo stesso a dispetto delle apparenze, per cui saranno in grado di capire, per esempio, che una femmina rimane tale anche quando si taglia i capelli corti e veste abiti maschili.
Sono tutti questi, gli aspetti dell’identità di genere, di cui si diventa consapevoli attraverso le proprie esperienze di vita. Uno dei meccanismi più importanti, per lo sviluppo dei comportamenti di genere, è l’imitazione.
I padri, per esempio, più frequentemente coinvolgono i figli maschi in giochi come la lotta, rispetto a quanto fanno con le femmine e solitamente tollerano più facilmente il comportamento “maschile” delle proprie figlie, rispetto a quello “femminile” dei propri figli. Alle bambine sono generalmente regalate delle bambole, mentre i maschi in genere sono dissuasi dal giocare con giocattoli di tipo femminile.
Come dimostrano alcuni studi sull’analisi delle conversazioni che avvengono fra genitori e figli, sembra che gli adulti siano più pronti a discutere di sentimenti con le femmine che con i maschi.
Quindi, prima di tutto i genitori ma poi man mano, tutte le altre figure con cui s’instaurano relazioni affettive importanti, incideranno sulla formazione della nostra specifica identità.
Però, giacché siamo esposti a una grande varietà di comportamenti potenzialmente appropriati forniti dai modelli dello stesso sesso, confluiranno nell’identità sessuale del bambino o della bambina un’ampia varietà di elementi. Il risultato sarà un’identità di genere costituita da molteplici aspetti.
In genere, l’identità di genere è corrispondente al proprio sesso biologico ma occasionalmente, vi sono ragazzi che crescono con la convinzione di essere femmine e ragazze che crescono con la convinzione di essere maschi: in questo caso si parla di disforia di genere.
Per comprendere il vissuto psicologico di questi soggetti dobbiamo cambiare la prospettiva da cui guardare l’altro. Infatti, se lo guardiamo dalla nostra prospettiva, saremo portati a considerarlo omosessuale, invece, se assumiamo il suo punto di vista, dovremo considerarlo eterosessuale.
La non corrispondenza di queste due componenti dell’identità sessuale, biologia e identità di genere, determina una grossa sofferenza interiore. Il transessuale si sente straniero nel proprio corpo. Pertanto, per recuperare il proprio completo benessere, se ci sono le condizioni psicologiche e fisiche, queste persone possono accedere a un percorso di allineamento dei due tipi d’identità. Questo percorso comprende un periodo di psicoterapia individuale, trattamenti ormonali e interventi chirurgici. Il termine “transessuale” infatti, definisce chi ha iniziato o concluso il percorso di riattribuzione del genere cosicché l’aspetto corporeo sia congruente con l’identità di genere.
L’orientamento sessuale, è la terza componente dell’identità sessuale e indica il sentirsi attratti affettivamente e sessualmente dal proprio sesso, da quello opposto, o da entrambi. Molte persone confondono l’orientamento sessuale non eterosessuale con il disturbo dell’identità di genere: ma non c’entra nulla. Perché, in questo caso, l’identità di genere coincide con la biologia. Queste persone sentono di appartenere al proprio sesso biologico e non sentono disagio per questo.
Però, degli altri due aspetti che caratterizzano l’identità sessuale, orientamento sessuale e ruolo di genere, ne parlerò la prossima volta.
Maria Rossetti, ginecologa e sessuologa
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